«Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per un pezzo di pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno…».
Queste parole di Primo Levi sono rimaste scolpite nella memoria collettiva. Niente è più inimmaginabile degli orrori prodotti dalla volontà sistematica dell’essere umano di annientare l’essere umano.
Per ricordare ciò che è stato, il 27 gennaio (data in cui l’Armata Rossa, nel 1945, liberò il campo di concentramento di Auschwitz, uno dei più orrendi scenari della persecuzione razziale nazista) è stato istituito il Giorno della Memoria, una triste ricorrenza che ha il fine di tenere viva l’esperienza delle vittime della Shoah e del Nazifascismo.
Dal 2000 quindi, in occasione di questa data, vengono organizzate in tutta Italia iniziative e incontri per tornare a riflettere su questi terribili fatti, per non dimenticare mai. È importante ricordare avvenimenti che hanno distrutto le vite e i sogni di intere famiglie, bambini compresi, la cui innocenza si leggeva in quegli occhioni tristi e spenti, senza più alcuna speranza di sopravvivere.
Non solo ebrei, ma anche deportati militari e politici, omosessuali, malati, zingari e tanti morti rimasti senza nome e senza volto. Tra il 1933 e il 1945 le vittime dei nazifascisti furono dai 15 ai 17 milioni. Uomini e donne, anziani e bambini. Gli ebrei che scomparvero furono dai 5 ai 7 milioni. La Giornata della Memoria è il nostro omaggio a tutti loro.
Il tempo passa e si porta via poco a poco i protagonisti diretti della Shoa e gli eroi che, opponendosi al progetto di sterminio, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Le loro parole, però, restano nei libri, perché i ricordi dell’orrore non vadano perduti: «La memoria vale come vaccino contro l’indifferenza» (Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz).
E perché ricordare significa non ripetere gli stessi errori, le stesse atrocità commesse nei confronti di persone innocenti, “colpevoli” di appartenere a una determinata razza o di rappresentare certe differenze di pensiero e di vita.
Anche il Caffè Letterario di Bra celebra il “Giorno della memoria” e lo fa grazie alla disegnatrice Manuela Fissore, autrice di un’opera senza sconti di generazioni, che va al di là degli schieramenti, perché la guerra e le sue tragiche conseguenze sono uguali in ogni tempo e in ogni luogo.
Il suo manga è ispirato a “Il bambino con il pigiama a righe” di John Boyne (Rizzoli), il libro più letto nelle scuole per comprendere l’orrore dell’Olocausto. Siamo nel 1942, due bambini seduti a terra l’uno di fronte all’altro, uno vestito normalmente e l’altro con la testa rasata e un goffo completo, molto più grande della sua taglia, a fasce verticali bianche e nere. A dividerli c’è una rete metallica dal filo spinato molto alta. Sono Bruno e Shmuel, uno tedesco, di pura razza ariana e figlio di uno spietato comandante delle SS, l’altro un coetaneo ebreo prigioniero del lager di Auschwitz. Del nazismo a Bruno non importa, anzi ci tiene a rafforzare i suoi rapporti con Shmuel, tanto da convincersi ad oltrepassare la rete per aiutare l’amico e… preparate i fazzoletti (tanti).
Quello che infatti rende immortale la memoria dell’Olocausto è la letteratura e nulla è più opportuno di congedarci con i versi di Anna Frank. L’autrice del celebre Diario, scrisse la poesia Aprile nel 1943, un anno buio in cui imperversava la Seconda guerra mondiale e la parola “speranza” era destinata a scolorire come un acquerello.
Eppure la giovane, proprio lei che aveva perduto tutto, ci insegna a credere nel futuro, ad apprezzare la gioia dell’istante presente e a guardare al domani con rinnovato ottimismo. Da leggere per credere: «Prova anche tu, una volta che ti senti solo o infelice o triste, a guardare fuori dalla soffitta quando il tempo è così bello. Non le case o i tetti, ma il cielo. Finché potrai guardare il cielo senza timori, sarai sicuro di essere puro dentro e tornerai ad essere felice».
Anna Frank aveva scoperto il segreto per la felicità e ha voluto farcene dono. Un insegnamento prezioso che siamo certi lei abbia conservato sino alla fine dei suoi giorni, persino in quel drammatico 4 agosto 1944 quando i tedeschi fecero irruzione nel rifugio segreto, spegnendo il suo futuro.
Anna la purezza del cielo però l’aveva augurata anche a loro, ai nazisti, auspicando una possibilità di redenzione portata dal vento leggero d’aprile e da quell’azzurro così carico di promesse che sembra avvolgere ogni cosa, come una nuvola.