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DA KIEV ALLE LANGHE ANDATA E RITORNO / In viaggio nel Donbass e nelle repubbliche separatiste per portare aiuti alla popolazione [FOTOGALLERY]

Prosegue il nostro “diario” dall’Ucraina, per conoscere da vicino cosa sta succedendo in quella terra, ormai in guerra da circa un anno. Eravamo rimasti col rientro in patria dall’Italia, pochi giorni prima della fine dell’anno.

“L’inizio del 2023, purtroppo, non si è presentato in modo molto diverso dall’anno precedente”, dice Bogdana. “L’unica cosa che so per certo, è che tutti gli ucraini hanno un desiderio, e lo hanno espresso a gran voce a mezzanotte: la vittoria!”.
Che letto in questo modo fa sembrare tutti loro dei guerrafondai, ma in realtà il senso è che vorrebbero tutti la fine della guerra, la pace e il ritorno a quella che era una vita normale, come quella di tanti di noi. Inneggiare alla vittoria è semplicemente perché la soluzione di una resa significherebbe sì la pace, ma sicuramente una perdita di identità nazionale.

I primi giorni del nuovo anno sono stati a dir poco “caldi”, l’Ucraina ha subito 51 incursioni aeree, solo il primo gennaio e circa 40 il 2 gennaio.

“Il 13 gennaio – racconta Bogdana – avevamo in programma un nuovo viaggio. Questa volta nell’est dell’Ucraina, nel Donbass. Dovevamo portare cibo, medicine, vestiti invernali e attrezzature tecnologiche (termocamere, tablet) ad alcune unità militari, il tutto frutto delle donazioni raccolte dai volontari”.

Il Donbass o Donbas, contrazione di Doneckij bassejn, si trova nell’Ucraina sud-orientale, con una popolazione di maggioranza russofona, composta di ucrini e russi, è di fatto la regione contesa tra Ucraina e Russia, teatro di guerra già dal 2014. Sul territorio del Donbas si trovano le città di Mariupol, più volte oggetto di bombardamenti e Doneck e Luhansk, i cui oblast’ (pressappoco come le regioni italiane) sono di fatto da considerarsi oggi due repubbliche separatiste, sostenute e riconosciute dalla Russia.

“La partenza è stata di nuovo all’alba – riprende nel suo racconto Bogdana – perché la strada è lunga e in più le zone dove dobbiamo andare sono teatro di battaglia, per cui spesso si deve cambiare percorso. Ieri sera avevamo programmato di andare in due posti in cui ci potevamo incontrare con le unità militari per consegnare loro le cose, ma già questa siamo stati informati che in uno dei due non era possibile andare, perché erano in corso dei pesanti bombardamenti”.

Il gruppo lascia Kiev non appena cessato il coprifuoco, per raggiungere Kharkiv, dove fare sosta per la notte, per poi ripartire sempre all’alba, per evitare di dover percorrere le zone soggette a bombardamenti durante la notte.

“La strada che dobbiamo percorrere – riprende nel racconto Bogdana – attraversava i villaggi liberati dall’occupazione della regione di Kharkiv. Quasi tutti i ponti sono stati distrutti e la strada principale è stata deviata in più punti. Per due volte abbiamo rischiato di perderci, ma fortunatamente abbiamo subito ritrovato il percorso giusto. In queste zone non è possibile utilizzare un navigatore, perché molto spesso non c’è connessione”.

Nonostante le difficoltà, in ragazzi arrivano a Izyum, a sud di Kharkiv, una città fondata nel 1600 che prima della guerra contava circa 50.000 abitanti, oggi più o meno la metà. Occupata dall’esercito russo durante l’offensiva, viene poi liberata lo scorso settembre dalle forze armate ucraine. Oltre la distruzione della città stessa e dei villaggi circostanti, vengono rinvenute nell’hinterland cittadino, fosse comuni con centinaia di civili, che ricordano quello che era accaduto qualche tempo prima a Buča.

“Izyum è una città che all’arrivo – racconta la nostra corrispondente – non sembra essere stata sottoposta a un bombardamento così pesante. Ma basta percorrere in auto un paio di isolati, che inizia l’orrore. C’è un palazzo a destra e uno a sinistra, divisi da un cumulo di macerie. Prima era uno stabile residenziale intero, un corpo unico. Guardarlo è spaventoso, al centro ci sono solo macerie, è stato diviso in due. Tutta la città porta i segni della distruzione. Palazzi sventrati, case con i muri pieni di buchi, altre bruciate, alcuni palazzi hanno i piani superiori che sembra come se qualcuno avesse tolto un pezzo”.

Nonostante questo, a Izyum si sta cercando di ripartire, qualche negozio ha riaperto e in giro per le strade si vede gente camminare. I ragazzi però non possono fermarsi, il tempo è poco.

“Avrei voluto poter parlare con la gente del posto – racconta Bogdana – sentire i loro racconti. È difficile, ma queste storie terribili non dovrebbero essere messe a tacere”.

“C’è un villaggio dietro Izyum – prosegue nel racconto – che non esiste. È distrutto. Un villaggio completamente distrutto. Non una casa intera. Riesci a immaginare nessuno? Non stiamo parlando di un villaggio piccolo, ma è stato completamente raso al suolo. Pochi chilometri più avanti, un altro anche questo totalmente distrutto. È terribile. È la prima volta che vedo qualcosa del genere. È la più grande distruzione che io abbia mai visto con i miei occhi. È spaventoso persino immaginare quante persone siano morte lì”.

Il viaggio prosegue e il gruppo raggiunge la regione del Donetsk. Qui per le strade si incontrano pochi civili, ci sono soprattutto veicoli militari. Finalmente arrivano al primo punto di rendez vous, dove trovano un camion militare con un gruppo di soldati. È tanta la gioia nel ricevere dal gruppo di volontari, regali per i bambini, scarpe e vestiti pesanti per l’inverno oltre altri generi di prima necessità. I ragazzi approfittano per fare una breve pausa e scambiare chiacchiere con i militari, tra l’altro tra loro c’è stato un ex compagno d’armi di uno dei volontari, furono insieme in Afghanistan.

Il momento di riposo viene interrotto dalla telefonata della figlia di una delle ragazze della squadra di volontari. La bambina avvisa la mamma che sente delle esplosioni a Kiev. Poco dopo sui cellulari dei ragazzi, arrivano le notifiche dell’inizio di una nuova allerta aerea. Ci sono di nuovo massicci bombardamenti sull’Ucraina.

“È una sensazione strana – dice Bogdana – siamo passati da una città apparentemente più sicura al Donbass, dove le ostilità sono molto vicine, ma qui è tranquillo, mentre a Kiev stanno bombardando”.

La squadra a questo punto riparte e raggiunge il secondo punto d’incontro. Qui trova un gruppo di paramedici e anche a loro viene consegnato il materiale raccolto con le donazioni.
 “Si riparte – racconta Bogdana – torniamo indietro. La stessa strada. Gli stessi villaggi completamente distrutti e ancora Izyum. Non riesco a credere che sia reale. Ancora una volta penso di vivere in un film”.

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Durante il viaggio di ritorno arriva la notizia del bombardamento su Dnipro. Un palazzo civile colpito, militari e soccorritori che scavano tra le macerie per cercare di salvare vite, bambini, donne, uomini. Ci sono morti e molti feriti.

“Questo mi ha ricordato – racconta la nostra corrispondente – la scorsa estate, quando arrivammo vicino a Bakhmut. A 5 chilometri da noi gli aerei russi stavano bombardando dei palazzi residenziali. Ricordo che dopo la prima esplosione, tutti i militari che erano con noi, corsero via per andare a prestare soccorso. Uno di loro filmò un secondo razzo che colpì lo stabile. Il video ha fatto il giro del mondo, venne diffuso da molti media. Sai la cosa che mi ha maggiormente colpito? Che tutti quei ragazzi, quei militari, erano appena rientrati da una missione e erano lì per riposarsi, ma hanno lasciato tutto e sono corsi ad aiutare. Ma soprattutto i loro racconti al ritorno. Hanno raccontato cose terribili: gente urlava da sotto le macerie, che cercava di farsi vedere accendendo delle torce e quelli che non potevano urlare, accendevano la musica sui loro telefoni in modo che potessero essere sentiti e tirati fuori da sotto le macerie”.

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