«A 7 anni Little Tony mi fece l’autografo Ogni serata ripenso a lui»
Corriere della Sera, di Tommaso Labate, pag. 22
I biglietti costavano e soldi per andare al concerto non ce n’erano. Ma io avevo l’arma segreta. Io avevo il cugino Nino». Campo sportivo di Letojanni, provincia di Messina, anno 1967. Nino Nicita, vigile urbano, pancia prominente e faccia da Dean Martin, fende due ali di folla adorante tenendo per mano un bambino di sette anni. Un vigile, all’epoca, «valeva quanto un generale di corpo d’armata». Nino e il bambino si lasciano la folla alle spalle e guadagnano la porta d’ingresso di una roulotte. Bussano. Aspettano. «E poi a un certo punto apre e me lo ritrovo davanti. Abituato com’ero a vederlo in televisione, dove era alto qualche centimetro, dal vivo mi sembrava enorme, gigantesco. E la luce che emanava, non avete idea, c’era luce ovunque: per il carisma, certo, ma anche per lo sbrilluccichìo delle gemme sui vestiti, çon delle frange che spuntavano da tutte le parti. Era come se anche la roulotte avesse le frange. All’epoca mica c’era la globalizzazione che ti faceva vedere tutto, e magari avresti detto “vabbé ma queste cose le fa già Elvis, chi se ne frega”. All’epoca così c’era lui e basta. O ti piaceva lui o ti piaceva Gianni Morandi. “Signor Little”, gli disse Nino, “questo è mio cugino”. Lui mi guardò e disse: “A’ more’ (moretto, ndr), come te chiami?”. “Rosario”, gli risposi. Mi diede due buffetti sulle guance e scrisse su un foglio di carta “a Rosario, con affetto”. Non potete immaginare il dispiacere di aver perduto, chissà dove e chissà quando, quel pezzetto di carta con l’autografo. Ma Little Tony, fateci caso, da grande l’avrei portato con me sempre, a pegno di una sorta di debito di riconoscenza per quella sera in cui mi aveva accolto con mio cugino Nino nella sua roulotte prima del concerto di Letojanni. Sempre, in tutti i miei show, quelli dal vivo e quelli in tv, Little Tony ci sarebbe stato».
Forse il segreto dell’eterno successo di Rosario Fiorello, confermato per l’ennesima volta dall’esperienza quotidiana di Viva Rai 2, è nascosto in Sicilia e negli occhi del bambino di sette anni che incrociano per la prima volta quelli di una star, Little Tony. Una grande storia Non importa che sia televisione o radio, emittente di Stato o commerciale, che sia Instagram o un teatro, che vada in onda la mattina prestissimo, al pomeriggio o in prima serata, solo di sabato o solo gli altri giorni della settimana. Il fuoriclasse è tale forse perché, dietro, c’è un bambino che ha creduto nel «mezzo» come se il «mezzo» fosse il tempio di una religione unica e di una verità assoluta. Come se tutto quello che succedeva e succede dentro il «mezzo» fosse reale, autentico, indiscutibile. Di questi tempi Fiorello si sveglia quando per gli altri è notte fonda, alle 5 è già in via Asiago, alle 7.15 si accende la lucina della diretta di Viva Rai 2; quando finisce la diretta, inizia a lavorare al programma del giorno dopo e verso mezzogiorno guadagna uno studio di Rai Radio 2 per consegnare a un microfono pezzi unici del suo passato, storie minime di una vita quotidiana che messe insieme fanno una grande storia.
Sembra un cesto in cui i fichi d’Indie della Sicilia degli anni Sessanta e Settanta convivono con i fast food e la Milano da bere degli anni Ottanta, le ristrettezze economiche del prima con i grandi guadagni del dopo; come un album dalle figurine più disparate — il cugino Nino e Claudio Cecchetto, Little Tony e Lorenzo Jovanotti, Amadeus e Pippo Baudo — incollate e messe insieme da un’unica mano: la sua. «Da ragazzo andavo pazzo per Walter Chiari. Lo guardavo in Tv e ogni volta era una sorpresa continua. Mini’, pensavo, ma come gli vengono tutte `ste battute? Ma come cavolo fa? Poi battute belle, precise, al punto giusto tie’, ecco che Walter Chiari dice la cosa che va detta e che fa anche ridere. Più avanti, quando mi sarei esibito io, avrei pensato “chissà se stasera avrò la fortuna di Walter Chiari, chissà se al momento giusto mi verrà la battuta giusta”. È che io non pensavo proprio che Walter Chiari se le preparasse prima, le battute, l’ho capito solo dopo». Quei pollici alzati La sacralità del mezzo, quello che vi succede è reale, non c’è trucco e non c’è inganno. L’idiosincrasia di Fiorello per i provini forse nasce da questo: il provino è finto. «A quello con Pippo Baudo per Fantastico neanche sapevo di essere a un provino. Vedevo quelli in fila davanti a me che provavano la voce, qualcuno scaldava i muscoli per ballare, qualcun altro si allenava per un numero da giocoliere. Quando arrivò il mio turno, mi chiesero che cosa sapessi fare e risposi con sincerità che non sapevo fare nulla, volevo solo i soldi del biglietto per poter tornare a casa, ché non li avevo. “Sai cantare?”. Sono intonato, risposi. Pippo Caruso attaccò al pianoforte e io gli andai dietro con quella strofa improvvisata, “non so fare nulla, voglio andare a casa, non ho i soldi per il biglietto”. I cameramen iniziarono a farmi segno col pollice in alto; persino Caruso, che era sempre serio, accennò un mezzo sorriso; Baudo si era addirittura alzato per accompagnarmi. E fatta, pensai. Macché. “Sei bravo ma non ti prendo”, mi disse».
Negli archivi fotografici di Palazzo Chigi, sepolta tra centinaia di migliaia di fotografie, deve essercene una del 1982 che ritrae il presidente del Consiglio in carica, Giovanni Spadolini, in visita ufficiale al Sacrario militare dei Caduti d’oltremare, a Bari. Dietro Spadolini c’è un giovane sull’attenti che imbraccia un fucile: è Fiorello, che trascorre tre mesi della leva militare nel capoluogo pugliese, con la cartolina ricevuta all’indomani della vittoria dellltalia ai Mondiali del 1982. Al ritorno dal servizio di leva fa avanti e indietro dai villaggi turistici, si sente il ragazzo più fortunato del mondo perché la Valtur l’ha assunto a tempo indeterminato. «Sapete che cosa voleva dire, no? Stipendio sicuro e pure bello alto, contributi pagati, avvenire garantito». Fino a quando la storia non prende una piega decisamente malinconica. «A pensarci ora, vi giuro, mi faccio tenerezza da solo…», accenna. Claudio Cecchetto l’ha chiamato a Milano per lavorare a Radio Deejay. «Si trattava di accettare uno stipendio decisamente più basso di quello che avevo con la Valtur e di acconciarsi a fare la pianta. Che cos’era la pianta? Semplice: non dovevi fare nulla. Soltanto stare alla radio a osservare, a vedere quello che facevano gli altri, ad assorbire, a imparare. Il primo con cui ho fatto la pianta è stato Tony Severo. All’epoca andava tantissimo la soap opera Sentieri, noi facevamo una specie di parodia che avevamo ribattezzato Viottoli… Amadeus, che era arrivato prima di me, aveva già un programma suo, si chiamava Mattinata esagerata, dove io andavo a fare le vocine di sottofondo…».
Milano sapeva essere crudele per chi non ne conosceva le liturgie, anche quelle minime. «Una volta — ricorda Fiorello — entrai dal fornaio e mi misi in fila per comprare due rosette vuote. Mangiavo quello, due rosette vuote. Vedevo che mi superavano tutti e non capivo il motivo. Dopo un bel po’ il panettiere mi spiegò che, se non avessi preso il numeretto, gli altri avrebbero continuato a superarmi. Ma che ne potevo sapere che c’era il numeretto, chi l’aveva mai visto…». Se il vitto è così così, l’alloggio è insuperabile. Via Alberto da Giussano, zona Parco Pallavicino, a due passi dalla radio. «Cecchetto mi disse “da domani abiterai là insieme a tutti gli altri”. Gli altri erano Franchino Tizio, Marco Baldini, Tracy Spencer, i fuorisede della galassia Deejay, tanto per capirci. E soprattutto lui: Sandy Marton». Qualche tempo prima Cecchetto aveva scovato quel ragazzo croato mentre faceva il cameriere a Ibiza; e, solo guardandolo con quella chioma bionda fluente, quando capì che faceva il musicista gli aveva commissionato su due piedi una canzone sull’isola, Gente de Ibiza, che tradotta in inglese era diventata la hit People from Ibiza. «Vado a questa via Alberto da Giussano, citofono e chi mi apre la porta? Lui, Sandy. “Tu sei il nuovo?”, mi chiese. “Si, sono il nuovo”. Da quel momento iniziai a fare il citofonista di Sandy Marton. Le donne lo cercavano a tutte le ore. Peeeee (imita il suono del citofono, ndr), c’è Sandy? Sandy, che magari stava già in compagnia, mi faceva segno di dire che non c’era».
(Continua sul Corriere della Sera)
(Nella foto Viva Rai2)