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Il lato oscuro dei disturbi alimentari: Brendan Fraser e The Whale

Due Oscar (miglior attore protagonista e miglior trucco) well deserved, anche se la tragedia diretta da Darren Aronofsky sicuramente si sarebbe meritata qualche altro premio. Una storia che penetra facilmente, come un coltello nel burro, nel cuore di tutti gli spettatori e che tocca le parti più sensibili e nascoste del nostro corpo. Una pellicola che stordisce e che segna profondamente: 117′ minuti di lunghi sospiri che cercano di trattenere quell’emozione che vorrebbe esplodere dalla gola. Brendan Fraser, vincitore della statuetta d’oro, in The Whale (“La Balena”), si è letteralmente superato e ha regalato la prestazione dell’anno e, sicuramente, quella della propria carriera ai cinefili di tutto il mondo.

I temi di The Whale

The Whale, adattamento cinematografico dell’omonima opera teatrale del 2012 scritta da Samuel D. Hunter, un autentico maestro nelle provocazioni, tratta diversi temi: dall’abbandono all’omofobia, passando per la religione, la famiglia, i problemi d’adolescenza, i social network e l’alcolismo. Ma la polpa di quest’opera, che è destinata a restare per sempre tra i colossal hollywoodiani, è di sicuro la questione dei disturbi alimentari. Charlie, infatti, il protagonista della pellicola, un insegnante di letteratura inglese, è un obeso grave (pesa quasi 300 kg) e tiene corsi di scrittura universitari in videoconferenza, senza però mai attivare la webcam per non mostrare il proprio aspetto fisico agli studenti: una scelta che rivela profondamente le sue debolezze – qui si cela anche il tema della vergogna – e che avverte il suo timore di essere giudicato e deriso (“fatphobia”, come la definiscono gli anglofoni). Vive costantemente seduto sul divano e si muove solo per mangiare, dormire e recarsi al bagno. E, inoltre, lui, senza assicurazione sanitaria, non ne vuole sapere di andare in ospedale per curarsi – resta sempre in auge il tema della grassofobia, ma in questo caso in campo medico e sanitario, un altro argomento molto molto delicato e veritiero, in particolare negli Stati Uniti.

Il lato oscuro dei disturbi alimentari: Brendan Fraser e The Whale

Il regista Darren Aronofsky, l’attrice Hong Chau (Liz) e Brendan Fraser (Charlie)

Charlie è affetto da gravi disturbi alimentari, entrati nella sua anima e nella sua vita in seguito alla scomparsa del suo compagno. Brutti ricordi che lo circondano e lo feriscono. Un vortice dal quale il protagonista non riesce a uscire e che rappresenta, nella realtà, chi – purtroppo -, per qualsiasi motivo, non ce la fa. L’interpretazione da brividi di Brendan Fraser parla per sé: in circostanze del genere – ma che possono interessare altre malattie, e non solo l’obesità – una persona non è più padrona del proprio corpo. Inquietante quanto realistica la scena in cui Charlie si abbuffa con qualsiasi cosa trovi sottomano per poter mettere una pezza temporanea (di soddisfazione) alla propria tragica situazione. «Ho imparato da quelle persone con cui ho parlato che molto spesso le circostanze della loro vita sono iniziate in giovane età – ha confessato l’attore canadese in un’intervista concessa a Screen Rant. Qualcuno ha parlato loro con recriminazioni, qualcuno li ha feriti, qualcuno è stato vendicativo nei loro confronti, e questo ricordo è rimasto con loro, per sempre. Le parole possono essere dolorose e dannose, e credo che tutti noi possiamo fare meglio».

La situazione in Italia e l’auspicio di Fraser

Una società malata che dovrebbe, quindi, prendere per mano questi fratelli e queste sorelle che hanno bisogno d’aiuto e che, sicuramente, non stanno fingendo per ricevere compassione ed attenzioni, come potrebbe pensare qualcuno. Un film, pertanto, The Whale, che si collega strettamente alla Giornata nazionale contro i disturbi alimentari, che si “celebra” nel nostro Paese il 15 marzo. Certo, la pellicola di Samuel D. Hunter raffigura su schermo, con aspra crudità, la realtà americana, ma anche nel resto del mondo il tema dell’obesità (e dei disturbi alimentari) è delicato e di estrema attualità. In Italia, per esempio, anoressia, bulimia e binge eating disorder (“abbuffata di cibo”) colpiscono milioni di persone ogni anno. Perlopiù ragazzine. Erano circa 3,5 milioni nello Stivale, ma adesso, post lockdown, si ipotizza siano almeno 5 milioni a soffrire di questi disturbi. Una (grave) impennata che ha avuto tra le principali cause proprio l’avvento della pandemia.

Il lato oscuro dei disturbi alimentari: Brendan Fraser e The Whale

Il fiocco lilla dedicato alla Giornata nazionale contro i disturbi alimentari

Tornando al film, e concludendo, Brandon Fraser, applaudito per sei minuti dal pubblico al termine della presentazione dell’opera allo scorso Festival di Venezia (e visibilmente commosso, dimostrando così la sua enorme sensibilità), ha spiegato che per calarsi in quel ruolo è stato fondamentale per lui entrare in contatto con la Obesity Action Coalition (Oac). Solo avvicinandosi a questa associazione, l’attore ha potuto capire infatti cosa significa essere obesi, e da qui nasce il suo auspicio: The Whale deve avere lo stesso effetto su tutti coloro che sceglieranno di guardare la pellicola.

I consigli degli esperti: la Fondazione Umberto Veronesi

L’importanza dell’identificazione e dell’intervento precoce sta nel fatto che, se non trattate adeguatamente, scrivono gli esperti di Fondazione Umberto Veronesi, tali patologie aumentano il rischio di danni permanenti a carico di tutti gli organi e apparati dell’organismo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico ecc.) che possono portare, nei casi più severi, alla morte. L’esperienza maturata e riferita dai professionisti del settore evidenzia l’importanza di prevedere per queste condizioni un intervento precoce, strutturato e multidisciplinare, che si avvalga quindi della collaborazione di diverse figure professionali.

I percorsi offerti all’utenza vedono l’integrazione di diverse tipologie di intervento: psicoterapeutico (100%), psicoeducativo (99%), nutrizionale (99%), farmacoterapico (99%), di monitoraggio della condizione psichico-fisico-nutrizionale (99%) e di abilitazione o riabilitazione fisica e sociale (62%). Gli interventi psicoterapeutici comprendono approcci individuali (98%), familiari (78%) e di gruppo (66%), spesso co-presenti. L’accesso presso i servizi avviene solitamente in modalità diretta, su richiesta del paziente (83%). Le prestazioni vengono generalmente erogate dietro pagamento del ticket sanitario (78%) ma possono essere fornite anche gratuitamente (29%) o essere erogate in regime di intramoenia (9%). Quasi tutti i servizi censiti rilevano l’esordio della patologia (98%), il tempo trascorso tra l’esordio e la presa in carico del paziente (97%) ed eventuali trattamenti pregressi (98%). I centri censiti propongono percorsi terapeutici multimodali, i livelli di assistenza sono a carattere prevalentemente ambulatoriale di tipo specialistico (92%) ma anche intensivi ambulatoriali o semiresidenziali (62%), mentre la riabilitazione intensiva residenziale è offerta nel 17% delle strutture.

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