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Inflazione e banche, arriva il conto di dieci anni di manipolazione dei tassi – Marco Hugo Barsotti

Venerdì scorso abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il professor Enrico Colombatto su un’ampia serie di argomenti che spaziano dalle tragiche scelte di politica monetaria delle banche centrali, che stanno causando i danni che abbiamo visto con SVB e Credit Suisse, all’Euro digitale passando per la suggestiva ipotesi di rinunciare tout court alle banche centrali.

Enrico Colombatto è ordinario di politica economica all’università di Torino. Collabora con Geopolitical Intelligence Service, che redige rapporti sulla situazione internazionale, per il quale si occupa della parte economica. Inoltre, è responsabile della parte scientifica del centro studi francese IREF (“Fiscal competition and economic freedom”), focalizzato sul libero mercato.

L’intervista è durata 57 minuti e verrà dunque pubblicata in due parti: chi volesse ascoltarla integralmente fin da subito può farlo scaricando il podcast a questo indirizzo.

MARCO HUGO BARSOTTI: Veniamo alle domande. Alzare i tassi ha avuto le “unintended consequences” che abbiamo visto con SVB. In ogni caso, molti affermano che se l’inflazione ha origini esterne al sistema (nel nostro caso esterne all’Europa, come nel caso del gas che ci viene oggi venduto dagli Usa a prezzi più alti di quelli russi), modificare i tassi è totalmente assurdo. Si sperava che la Banca centrale europea non lo facesse, invece Lagarde lo ha fatto e ha oltretutto affermato che non sa prevedere se continuerà a farlo o meno… 

ENRICO COLOMBATTO: La prima cosa onesta che dice! 

MB: Effettivamente non manca di trasparenza. Insomma, sembra che si applichi la regoletta senza ragionare sul contesto. Quale è la sua posizione?

EC: Approvare l’aumento dei tassi presuppone che siamo contenti del fatto che un banchiere centrale manipoli i tassi di interesse. Dal mio punto di vista tassi di interesse dovrebbero invece essere definiti dal mercato e non da una banca centrale.

Abbiamo avuto dieci anni di manipolazione dei tassi: oggi non dobbiamo stupirci che sia venuto fuori un gran pasticcio. Il fatto che adesso abbiano deciso di aumentarli è sia un bene che un male. Bene solo perché smettono di pompare moneta, provocando inflazione su attività finanziaria e mercato immobiliare, male perché adesso ci troviamo con l’inflazione sui beni primari.

Naturalmente inflazione non vuol dire aumento dei prezzi, vuol dire aumento della quantità di moneta. Oggi stiamo pagando il costo di una politica monetaria irresponsabile che abbiamo subito per dieci anni, illudendoci che si potesse creare ricchezza stampando moneta.

Oggi ci rendiamo conto che stampare moneta significa ridistribuire reddito attraverso l’inflazione a favore dei beneficiari della moneta, stravolgendo i meccanismi di mercato. Ma qualcuno deve pagare i costi e oggi siamo tutti noi, i consumatori.

Ma paga anche chi ha riposto fiducia in banche drogate che hanno cercato di cavalcare l’epoca dei tassi bassi senza pensare a quanto sarebbe potuto succedere dopo. 

MB: L’impressione è che queste manipolazioni dei tassi non riescano mai nei loro obiettivi dichiarati. 

EC: I tassi bassi non sono stati senza conseguenze: hanno consentito speculazioni finanziarie e il finanziamento del debito pubblico a costi irrisori. Sono stati efficaci in un senso perverso. Come dice lei, non basta smanettare sulla stampante di moneta, altrimenti Venezuela e Argentina sarebbero i Paesi più ricchi del mondo. 

Il tabù del 2 per cento

MB: Parliamo di inflazione. Può spiegare in modo convincente perché il 2 per cento di inflazione (e proprio il 2, non lo 0,5 o il 3,1 per cento) è considerato il livello giusto?   

EC: Innanzitutto, dobbiamo ricordare come la costituzione monetaria europea – chiamiamola così – prevedeva che il dovere della Bce fosse la stabilità dei prezzi. Ora, in tutte le lingue del mondo stabilità vuol dire variazione zero, non “del 2 per cento”. 

Ci sono stati due passaggi. Primo, dal concetto stabilità = 0 al concetto stabilità = 2 per cento. Secondo, abbiamo detto “non vogliamo più il 2 per cento all’anno, vogliamo il 2 per cento nel medio periodo: non preoccupatevi se un anno l’inflazione è più bassa o più alta, a noi interessa il medio periodo”. 

Perché il 2 per cento? La cosa non è scritta sulle tavole della legge, né viene fuori da alcun tentativo di ingegneria monetaria. Perché non il 2,2 o il 1,8? Semplicemente si è scelta una cifra tonda, più semplice da comunicare e soprattutto che meno si presta a sollevare domande.

MB: Certo, ma da uomo della strada io direi, “perché non lo zero per cento?” 

EC: Ci sono due risposte. Una prima, che troviamo anche in alcuni documenti ufficiali, è che i dati ufficiali sovrastimano l’inflazione vera, in quanto il paniere dei beni è composto di beni la cui qualità migliora nel tempo.  

Pertanto, non abbiamo inflazione se il loro prezzo è aumentato del 2 per cento, in quanto quello è anche il miglioramento della qualità, delle performance, delle caratteristiche del bene. Se oggi compro un pc che ha prestazioni del 2 per cento superiori a quello dell’anno scorso e lo pago il 2 per cento in più, allora è come se lo pagassi allo stesso prezzo dell’anno scorso e… (4+0/2) = 2.

MB: Ma d’accordo, nel paniere ci sarà pure il computer, ma mi spiega quale sarebbe il miglioramento della qualità del pane e del latte? Dei beni di prima necessità? Del gasolio? 

EC: Ma loro dicono che il computer aumenta di qualità del 4 per cento, il latte dello 0 e poiché (4+0)/2 = 2 … hanno ragione.

MB: Un attimo ma noi possiamo verificare questo assunto! Cioè, se prendiamo il paniere dell’Istat e andiamo a vedere quali beni sono del primo tipo (il computer) e quali del secondo (latte, gasolio, quotidiani…) possiamo verificare se questa teoria è corretta. Lei lo ha fatto?

EC: Si può fare. Sarebbe un esercizio interessante. 

E questo faremo. In testa alla seconda parte dell’intervista al professor Colombatto ci riproponiamo di analizzare i panieri e fornire ai lettori di Atlantico la risposta. Ma continuiamo con l’intervista. 

Prezzi in discesa 

EC: Secondo aspetto. Nella storia dell’economia molti periodi sono stati caratterizzati da prezzi in discesa, non c’è niente di male. Ma per motivi su cui non stiamo a soffermarci la banca centrale non vuole vedere prezzi in discesa.

Fatta questa premessa, se noi abbiamo prezzi stabili, inflazione zero, vuol dire che la media tra prezzi che salgono e prezzi che scendono è zero. Se vogliamo evitare che alcuni prezzi scendano dobbiamo porci un obiettivo più alto, quale il 2 per cento.  

MB: Come dire calibrare la bilancia di casa in modo che parta da 2 chili insomma! Faccio in modo da farmi sembrare più grasso per forzarmi a mangiare di meno!

EC: Ecco, con il 2 per cento, dicono loro, evitano che alcuni prezzi scendano. 

MB: Ok, allora facciamo questo esercizio: ora è lei ad essere “in charge”, è lei il decisore. A cosa punta, al 2 per cento o allo zero? O…? 

EC: Se io fossi in charge chiuderei il portone dell’edificio e remunererei qualunque governatore per stare in spiaggia, con una semplice motivazione: danni non provocati”.  

Fine della prima parte. La settimana prossima Atlantico pubblicherà la seconda parte dell’intervista.

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