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Narrazione paranoica | Le folli ambizioni imperialiste e le contraddizioni del nuovo Concetto di Politica Estera russo – Linkiesta.it

Uno dei pochi pregi, forse l’unico, della leadership russa è la sua smaccata sincerità. Al netto della propaganda e delle narrazioni con le quali il Cremlino giustifica la propria politica, Mosca è sempre piuttosto chiara sulle proprie intenzioni strategiche.

Il nuovo “Concetto di Politica Estera della Federazione Russa”, approvato da Vladimir Putin il 31 marzo, crea il quadro dentro al quale si muoveranno le istituzioni russe. Va detto che il Concetto è più una mappa che un manuale di istruzioni: non è un documento vincolante, e le decisioni in materia di politica estera rimangono prerogativa del Cremlino e dei diversi personaggi ai quali l’amministrazione presidenziale affida i dossier scottanti.

Per di più, il documento stesso conferma la geografia del potere radicatasi in Russia negli ultimi decenni. Il ministero degli Esteri, l’istituzione storicamente più dialogante con Stati Uniti e Europa – e che pure ha scritto buona parte del documento – è ormai ridotto a un attore fra tanti.

Nel Concetto vengono elencati gli organi responsabili per l’implementazione e la gestione della politica estera della Federazione: un fritto misto di consigli, comitati, servizi e assemblee che moltiplica i potenziali conflitti di competenze e che rafforza così il ruolo di Putin come più alta istanza decisionale e come mediatore per un numero di istituzioni equamente (de)legittimate.

Non solo Cina
Le nuove priorità e i nuovi parametri con cui Mosca prende decisioni nel campo internazionale cristallizzano l’idea di una “politica estera multivettoriale”, espressione un po’ esoterica usata (non solo dai russi) per trasmettere l’idea che «parliamo con tutti e non facciamo parte di nessun blocco».

L’enfasi russa su tale approccio smentisce innanzitutto l’idea che Mosca ambisca alla creazione di un asse formale con Pechino, che viene citata come capitale con la quale la Russia gradirebbe rafforzare una cooperazione strategica tanto quanto l’India. In questo contesto è rilevante che venga esplicitamente menzionata la necessità di forti investimenti infrastrutturali nella regione eurasiatica; la scarsità di trasporti è il più grande limite che impedisce la trasformazione di Cina e Asia meridionale in una vera alternativa all’Europa.

Ovviamente, le intenzioni non corrispondono sempre con le necessità contingenti. Bisogna ad esempio considerare la realtà di quello che il Concetto identifica come «crisi della globalizzazione economica», una tendenza che potrebbe andare a vantaggio di Mosca depotenziando Stati Uniti e Europa. Nei fatti, per i russi la frammentazione del mercato globale e la prospettiva di un sistema finanziario ed economico multipolare si traducono anche nell’adozione del renmimbi cinese per commerci con Paesi terzi, muovendosi virtualmente da una dipendenza dal dollaro a una dalla valuta della Repubblica popolare.

«Multipolarismo pragmatico», anticolonialismo e dittatura delle superpotenze
Il problema alla radice della visione multipolare propagata dalla Russia è proprio il distacco che esiste fra l’ambizione di presentarsi come il cuore di uno spazio politico autonomo (una vaga “Grande Partnership Eurasiatica” , mosaico composto da organizzazioni come l’Unione Economica Eurasiatica e Consiglio di Cooperazione di Shanghai), e la debolezza dell’offerta politico-economica che Mosca può effettivamente rivolgere agli altri Paesi.

Una contraddizione che si legge anche nei capitoli riguardanti l’Europa, il cui destino ideale nella visione russa sarebbe quello di diventare un’appendice al progetto eurasiatico il cui centro di gravità rimane tuttavia la Cina. Questo nodo irrisolto è posto in secondo piano rispetto alla narrazione cardine che attraversa il Concetto. In questa visione, il grande scontro politico che plasma l’ordine internazionale è una battaglia di retroguardia degli Stati Uniti e «dei suoi satelliti» contro l’emersione di un mondo multipolare sul quale stanno perdendo il controllo («tentativi di fermare il corso naturale della Storia»).

In secondo luogo, Mosca si intesta una retorica anticolonialista che evoca il passato sovietico, aggiornandolo con alcuni concetti chiave che lo rendono particolarmente appetibile a potenziali partner in giro per il mondo. Mosca riafferma la propria ferma opposizione a qualsiasi tipo di intervento negli affari domestici di altri Stati e il sostengo di una linea relativista, che pone democrazia e autocrazia sullo stesso piano e che quindi non giustifica interventi umanitari (una proposizione particolarmente ironica considerata l’agenda di «de-satanizzazione» dell’Ucraina, giustificata appunto con motivazioni umanitarie).

Questa argomentazione è in realtà abbastanza condivisa anche da Paesi come l’India, che hanno sempre visto con sospetto le giustificazioni di Stati Uniti e Europa per interventi militari fuori da mandati Onu. Questo principio, largamente diffuso fra i Paesi del Sud globale, è però estremizzato da Mosca, che rigetta tout court il mantenimento di un ordine internazionale basato su regole di comportamento universali.

La Russia identifica una necessità, per le grandi potenze (presumibilmente Stati Uniti, Cina e Russia), di essere libere da regole sovranazionali e di poter risolvere i grandi problemi globali con negoziati slegati dai diritti di Stati terzi. Pur dicendosi anticoloniale e favorevole a un’eguaglianza fra Stati a prescindere dalla forma di governo, Mosca rimane quindi fermamente convinta che alcuni Paesi sono più uguali degli altri, giustificando una politica di sfere di influenza e egemonia.

Per questo l’Unione europea è vista come un’emanazione di Washington, non come un’entità autonoma, e l’interlocutore privilegiato per Mosca in Europa rimangono gli Stati membri. Per usare un eufemismo, questo rende particolarmente difficile il prospetto di porre l’Unione europea come interlocutore terzo fra Stati Uniti e Russia nel contesto della guerra.

Impero e nazione
Ciò che colpisce è che l’unico fil rouge ideologico che corre nel documento è quello della «integrità dei valori morali e spirito tradizionale russo», che negli esempi pratici riportati equivale spesso a una concezione allo stesso tempo imperiale ed etno-nazionalista dello Stato russo.

Da una parte, Mosca lascia aperta la porta a ridefinizioni dei propri confini in chiave espansionistica, ad esempio per quel che riguarda la possibile integrazione di Abkhazia e Sud Ossezia, le due repubbliche “separatiste” in Georgia (ma non la Moldavia). Mosca continua a ritenersi egemone in quello che definisce «l’Estero vicino», arrogandosi diritti di dominio (o, come minimo, di una relazione speciale) anche su Paesi dell’ex Unione sovietica anche quando non popolati da popolazioni etnicamente russe. In questi casi, Mosca parla di un compito derivato dalla sua «civilizzazione millenaria».

Dall’altra parte, l’atteggiamento di Mosca è esplicitamente imperialista anche nei confronti di popolazioni di origini russe presenti in altri stati (i «compatrioti» all’estero, come ad esempio anche 2,5 milioni di tedeschi russofoni) e con chi si identifica nella Chiesa Ortodossa. Le due concezioni di nazione russa, definita in termini inclusivi (un impero multietnico) oppure esclusivi (la Russia sono i russi slavi e ortodossi, da proteggere a prescindere dai confini) vengono usate in maniera intercambiabile a seconda degli obiettivi politici che si pone il regime.

C’è infine un altro sviluppo notevole riportato dal Concetto, ovvero la convergenza osservata anche dal ricercatore Andrei Soldatov fra la politica estera e le attività di intelligence. L’eliminazione di gruppi «anti-russi», come l’opposizione liberale nella Federazione e nell’Estero vicino, sono riportati come prioritari, così come la creazione di uno «spazio informativo comune» all’interno della Comunità degli Stati Indipendenti, una scialba alleanza politico-militare creata dopo il 1991.

Normalmente, l’intelligence è al servizio della politica estera: non può succedere nulla di buono se le sue logiche paranoiche iniziano traspirare nei modi con cui un Paese si interfaccia col mondo. Tutto questo è ancora più vero alla luce di un Concetto di politica estera che identifica una frattura permanente fra Russia e blocco Euro-atlantico, ormai a prescindere dall’esito del conflitto ucraino.

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