Lamentarsi delle nuove generazioni, in particolare durante il periodo dell’adolescenza e della prima età adulta, è una prerogativa delle generazioni più anziane praticamente da sempre. Se in questa fase Baby Boomers e parzialmente anche la Gen X vedono in modo molto critico Millennials e Gen Z, non va quindi assolutamente dimenticato come cinquant’anni fa la situazione era analoga, ma a essere l’oggetto delle critiche erano coloro che adesso sono saliti sul palco a criticare.
Si tratta spesso di dinamiche che partono dal rapporto genitori/figli, ma si estendono anche ad altre aree (insegnanti/allievi, allenatori/giocatori ecc.). Tipicamente le accuse riguardano la scempiaggine (o stupidità) dei più giovani, declinata su più piani, che vanno dalle abitudini quotidiane al rapporto con la cultura, dalle relazioni con i propri coetanei al linguaggio, includendo anche altri aspetti.
Questa tendenza appare fin dagli albori della civiltà, potendo risalire ad Aristotele (IV secolo a.C.) quando a proposito dei giovani espresse un pensiero tagliente: «Pensano di sapere tutto, e ne sono sempre abbastanza sicuri». Il fenomeno è stato recentemente studiato ed etichettato come «Kids These Days» («i giovani d’oggi»), ovvero come una tendenza consolidata in cui giocano un ruolo fondamentale due processi cognitivi.
In primis si tratterebbe di un bias mnemonico, che farebbe in modo che gli più giovani, anch’essa riscontrabile in molte epoche e individuabile in tutte le manifestazioni di rivolta rispetto alla struttura valoriale e comportamentale della società dominante in quel momento (si pensi al movimento del 1968 quale esempio più evidente).
La novità relativamente recente, tuttavia, è rappresentata dalle possibilità che si manifestano all’interno delle conversazioni sui canali digitali, luogo in cui, a differenza del passato, ormai tutte le generazioni hanno la possibilità di interagire in modo costante, immediato e senza particolari confini spazio-temporali. Celebre è il meme partito nel 2018, ma reso famoso nel 2019 da un articolo sul New York Times a seguito di uno scambio tra due persone appartenenti a generazioni diverse.
La storia è presto detta: un uomo con i capelli bianchi, un cappellino da baseball e una polo afferma: «The Millennials and Generation Z have the Peter Pan syndrome, they don’t ever want to grow up» (i Millennials e la Gen Z hanno la sindrome di Peter Pan, non hanno alcuna intenzione di crescere). Il video diventa virale e famosissimo, in quanto in grado di scatenare sulla piattaforma che lo ospita (TikTok e a seguire su tutte le altre) le risposte dei Gen Z e dei Millennials che rispondono aggiungendo la formula provocatoria «OK, Boomer».
Questo epiteto, teso a zittire nello specifico l’autore del video, ma di lì in poi chiunque sopra a una certa età si produca in dichiarazioni di biasimo verso i giovani, diviene una pietra miliare della contrapposizione digitale e non tra generazioni (in particolare Boomers vs Millennials ma anche Gen X vs Gen Z).
La vitalità dell’espressione è enorme, aiutata anche da veri e propri progetti artistici a essa collegati, divenendo in breve tempo una sorta di marchio di fabbrica della rivolta. Ogniqualvolta un giovane vuole sottolineare l’inadeguatezza o la contrarietà a un’opinione formulata da qualcuno di più anziano, scatta la risposta che in due parole racchiude un significato molto più ampio. A farne le spese, tra gli altri, l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ha ricevuto valanghe di risposte a suoi tweet con questa espressione.
La rivolta attinge alle condizioni in cui il pianeta si trova dal punto di vista climatico (si pensi a Greta Thunberg e al movimento dei Fridays for Future che ne è conseguito in tutto il mondo), dal punto di vista economico e del mondo del lavoro. Il conflitto che ne risulta si limita (per ora) alla contrapposizione di opinioni che trovano nell’incomunicabilità e nella chiusura rappresentata dall’espressione «OK, Boomer» l’ancoraggio di un discorso, come detto, molto più corposo.
Dietro a questa espressione trova sostanza una critica molto precisa che le nuove generazioni muovono a quelle precedenti: il fatto che il potere in loro possesso è stato sproporzionato e usato male, viste le attuali condizioni del pianeta e in considerazione di quanto potrà accadere in futuro, con i prezzi più alti da pagare che cadranno sulle spalle di chi è giovane in questi tempi.
Ma perché proprio adesso emerge all’orizzonte il tema del conflitto generazionale? Si tratta solo di una diretta conseguenza della crisi mondiale degli ultimi anni culminata con la pandemia e le convivenze forzate imposte dai lockdown oppure siamo davanti a una dinamica che era già presente nel tessuto della società e che ha trovato un’accelerazione improvvisa e imprevista? Per rispondere a questo quesito vale la pena forse inquadrare meglio e più in profondità le generazioni coinvolte.
Da “Senza età” di Diego Martone, Egea, 160 pagine, euro 18,50.