Gli italiani (e non solo) non credono ai dati reali ma indulgono nella percezione che va in direzione opposta. Prendiamo come esempio la criminalità: negli ultimi decenni i reati sono calati, ma è aumentata la sensazione di insicurezza diffusa. Stesso discorso per il tema dell’immigrazione. Da alcuni anni l’afflusso di stranieri si è fermato, e anzi, recentemente i residenti con cittadinanza estera sono addirittura in calo, essendo scesi nel 2022 di centoquarantunomila unità. Eppure è sempre diffusa l’idea che aumentino continuamente.
La ragione sta nel divario temporale: la narrazione si adatta lentamente alla realtà. E se la popolazione mediamente anziana è più abituata a credere a stereotipi consolidati, il ritardo è ancora maggiore. Questa narrazione è alimentata dalla politica che ha speculato sulla presunta invasione di stranieri. Il governo Meloni ha abbozzato una inaspettata marcia indietro parlando per la prima volta di un aumento progettuale dei flussi di lavoratori stranieri assieme alla modifica della legge Bossi-Fini per realizzare accordi con i singoli Paesi di partenza. La crisi demografica e il grande aumento dei posti vacanti non lasciano scelta.
L’Italia è tra i pochissimi Paesi in cui tra 2009 e 2021 il numero di cittadini italiani nati all’estero è diminuito, da due milioni e seicentoquarantamila a un milione e novecentotrentamila. Allo stesso tempo quello di coloro che sono nati in Italia ma hanno cittadinanza estera sono aumentati di più, quasi quadruplicando, passando da duecentoventimila a ottocentoquarantamila.
Certo, nel primo caso avranno avuto qualche ruolo gli oriundi sudamericani, ma è soprattutto la seconda statistica a farci capire come vi sia una sorta di allergia e timore verso l’integrazione. Una gran parte della popolazione consciamente e inconsciamente rifiutano l’idea che possa essere italiano anche qualcuno che viene da altre culture; addirittura anche quando è nato nel nostro Paese.
Cosa accade nel resto d’Europa? Nei Paesi Bassi oltre a un aumento complessivo di persone con origine straniera si nota come quanti hanno la cittadinanza olandese pur essendo nati all’estero sono più di coloro che ce l’hanno del Paese di provenienza. Il modello austriaco, invece, è più simile a quello italiano, ma qui, pur essendo cresciuta, la quantità di nati ma con cittadinanza straniera non aumenta come da noi.
Ancora più chiare le differenze con Svezia, Danimarca, Belgio, dove crescono molto più che da noi tutti quanti sono nati all’estero, che abbiano o non abbiano il passaporto del Paese che li ha accolti. In Svezia sono passati in questi 12 anni da 1 milione e duecentosettantamila a 2 milioni e trentamila, +60 per cento, mentre in Italia sono saliti del 7,5 per cento.
A causa dell’irrigidimento generale delle regole sull’accoglienza è cresciuta in generale la quota di coloro che hanno ancora la cittadinanza estera essendo nati in un altro Paese, ma solo in Italia e Austria superano il 60 per cento. Così come solo in Italia e Austria, tra queste realtà, sono meno del 30 per cento di tutti i residenti con origini straniere coloro che hanno ottenuto il passaporto pur essendo nati in un altro paese.
Questo accade anche perché è da record la percentuale delle seconde generazioni. Sono coloro che rimangono sulla carta stranieri nonostante siano nati a Milano, a Roma, a Torino. Sono l’11,8 per cento. In Spagna, dove il fenomeno migratorio negli ultimi 30 anni non è stato molto diverso dal nostro, sono il 7,5 per cento.
Nel nostro Paese arrivano immigrati soprattutto da Paesi lontani, extra-UE, di cultura quindi più distante. A essere nati fuori dell’Unione Europea tra chi ha origine straniera erano nel 2020 il 63,6 per cento in Italia, e il 68 per cento nei Paesi Bassi. Solo che in questi ultimi la maggioranza, il 46,2 per cento, aveva ottenuto la cittadinanza, mentre in Italia solo il 20,1 per cento.
Questi numeri ci dicono che, nonostante la stabilità del fenomeno migratorio, che non è più (se mai lo è stato) in una situazione di emergenza, questo viene ancora trattato come una disgrazia da bloccare, e, se non si può fare, da arginare, un po’ come il riscaldamento globale. Anzi, per tantissimi è molto più negativa dell’aumento delle temperature.
È questa concezione che ha impedito l’accettazione della realtà, un assorbimento più rapido e un’integrazione degli stranieri, il cui culmine dovrebbe essere l’ottenimento della cittadinanza. Oggi siamo, manco a dirlo, in ritardo, come su tanti altri temi. La pertinacia di chi spera di poter vivere in degli eterni anni ’60 o ’80, in cui il benessere (o presunto tale) si accompagnava all’omogeneità etnica, ci sta facendo procedere con lentezza.
Quanto tempo ci vorrà ancora per capire che noi italiani, vecchi e sterili come siamo, abbiamo molto bisogno di stranieri integrati, scolarizzati, che diventino pienamente italiani? Ne abbiamo bisogno esattamente per non perdere quel benessere e quel poco di comfort zone cui teniamo così tanto. Chi pensa di difenderli rifiutando l’immigrazione rischia di andare contro i propri stessi interessi.