umorismo-ebraico

Umorismo ebraico

Il Bloc Notes di Michele Magno

“Un tempo anche in Germania gli ebrei hanno riso delle mie profezie. Non so se oggi ridano ancora o se sia passata loro la voglia. Anche ora posso assicurarvi una cosa: la voglia di ridere passerà loro dappertutto” (Adolf Hitler, discorso del 30 settembre 1942). La profezia a cui faceva riferimento era il progetto di sterminio formulato il 30 gennaio 1939.

Nella Germania del Terzo Reich, nell’Austria dell’Anschluss e poi nei territori occupati dalle truppe naziste ed esposti alle piaghe della deportazione e dell’annientamento, l’umorismo degli ebrei diventò uno strumento di resistenza, l’unico a disposizione, all’oppressore. Irrideva un regime odiato e messo alla berlina. Il Führer e i suoi gerarchi si dimostrarono sin dall’inizio della loro ascesa politica particolarmente sensibili nei confronti del potere corrosivo della satira e della battuta di spirito, in grado di spogliare l’autorità delle credenziali mitiche di cui si ammantava.

Già nel dicembre del 1934 fu approvata la “Legge contro attacchi diffamatori allo Stato e al Partito e per la difesa dell’uniforme del Partito” che prevedeva severe pene detentive. Le barzellette politiche entravano così ufficialmente a far parte della categoria di reati perseguibili penalmente; raccontarle o anche semplicemente ascoltarle diveniva un atto di resistenza e di coraggio che poteva costare caro. A essere presi di mira erano spesso i vertici del partito e del governo: Hitler in testa, seguito da Goebbels (suo onnipotente ministro della propaganda) e Goering (capo dell’aviazione tedesca). I componenti di questo terzetto, ribattezzati dal mordace umorismo popolare rispettivamente come “der Mächtige” (il potente), “der Prächtige” (lo splendido), “der Schmächtige” (il gracilino) si presentavano nelle barzellette da soli o in trio.

La battuta di spirito giocava con fatti storici ad essi collegati o con i loro umanissimi difetti, beffandosi dell’inestinguibile sete di potere o delle idiosincrasie di Hitler, ad esempio, della corpulenza di Goering o del suo marcato narcisismo (pare avesse un debole per divise e decorazioni militari), come pure del suo coinvolgimento nell’incendio del Reichstag del marzo del 1933; Goebbels era invece al centro di battute per la sua attività mistificatoria di ministro della propaganda, come pure per le sue famose avventure extraconiugali che contrastavano platealmente con la moralità puritana predicata dal partito e per l’aspetto certo lontano dagli ideali ariani della razza superiore.

Hitler viene a sapere che fra gli ebrei girano storielle sul suo conto. Fuori di sé, fa arrestare il primo ebreo che gli capita a tiro. Il poveretto viene portato direttamente dal Führer, che sbraita: “Voi avete inventato queste storielle! Come avete osato?! Su di me, che sono il condottiero del popolo germanico e fondatore del terzo Reich destinato a durare mille anni!” “Giuro, Führer, che questa non l’ho inventata io…”

L’umorismo ebraico rispecchia la dolorosa realtà delle campagne diffamatorie e delle persecuzioni antisemite durante il regime nazista. In alcuni casi la barzelletta si propone di di mettere in evidenza, con la forza irriverente del riso, l’assurdità di certe accuse destinate a consumarsi ben presto nei campi di concentramento:

Due amici ebrei, dopo una lunga e bella passeggiata nel parco di Vienna, si siedono su una panchina e tirano fuori dalla tasca un giornale per riposarsi leggendo un po’: uno un quotidiano in yiddish, l’altro l’organo ufficiale del Partito nazista. Il primo ebreo è sbigottito. “Mma… Mma…Ma come puoi leggere un giornale simile??? Sei completamente impazzito?”. “Calma!” risponde l’amico. “Stai prendendo un granchio. Anch’io leggo i nostri giornali, ma quando li leggo non posso fare a meno di soffrire come un cane: pogrom in Cecoslovacchia, persecuzioni in Ungheria, odi razziali in Polonia, spedizioni punitive in Romania, attacchi arabi in Medio Oriente…Non ne posso più! Almeno su questo giornale c’è scritto che gli Ebrei governano il mondo, che dirigono grandi fabbriche, che hanno in pugno la finanza e che influenzano le decisioni economiche degli Stati più potenti e questo, sai, mi dà una grande gioia!”.

I prigionieri che riuscivano a sopravvivere si servivano di un raffinato umorismo per scaricare l’enorme tensione accumulata di fronte a una costante minaccia di morte, governata dal capriccio degli aguzzini. Forse pochi sanno che per un breve periodo furono attivi dei cabaret a Theresienstadt e ad Auschwitz, insolitamente tollerati dalle SS che amministravano queste strutture:

Un ebreo viene maltrattato in un campo di concentramento e minacciato di morte. Per un capriccio improvviso la SS si ferma un attimo e apostrofa l’ebreo: “Ti do una chance. Ho un occhio di vetro. Se sei in grado di riconoscere qual è ti lascio in pace”. Senza esitare l’ebreo risponde: “Quello sinistro è l’occhio di vetro”. Al che la SS “Come hai fatto a riconoscerlo?”.  L’ebreo: “Ha uno sguardo così umano!”.

La storiella umoristica e il coraggio che presuppone -coraggio di pensarla, di raccontarla, di riderne- somiglia molto al canto di Ulisse che Primo Levi si sforza di ricordare e spiegare al suo compagno di lager tedesco in un atto di ribellione contro un sistema concepito per defraudare l’uomo della sua umanità. L’umorismo e il riso servono da strumenti di sopravvivenza; combattono l’oppressore e insieme la paura di ridursi a un vuoto involucro di pelle e ossa per il quale  vivere o morire è indifferente.

L’umorismo nei ghetti e nei campi di concentramento poteva quindi accendersi della speranza di sopravvivere, di riuscire a vedere, un giorno, la fine dell’orrore grazie anche al sostegno del riso. Questo riso ricercato dalle vittime della Shoah vive di una tensione costante, impossibile da sciogliere, tra desiderio di resistenza e disperazione, terrore da esorcizzare e sollievo che lo ridimensiona per un attimo, impotenza e vitale necessità di affermarsi contrastando il sistematico lavorio di annientamento cui si era sottoposti.

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