Può l’Italia dire no al Mes (Meccanismo economico di stabilità) e non votare la relativa ratifica? No, Ecco perché. L’analisi di Polillo
Può l’Italia, gravata dal debito pubblico, in valore assoluto, più alto dell’intera Unione Europea, dire no al Mes (Meccanismo economico di stabilità) e non votare la relativa ratifica? Quando tutti gli altri Paesi hanno già aderito e la Germania, dopo la sentenza della sua Corte Costituzionale, si appresta a farlo? Domande che ammettono una sola risposta. No, non può farlo. Salvo, ovviamente, essere disposta a subire tutte le conseguenze di una simile scelta, di cui oggi è difficile intuire la relativa portata.
Le ragioni sono evidenti. Se questa fosse la scelta, sarebbe come rifiutare un’assicurazione sulla vita. Pretendere di poter guidare un autobus, che viaggia a 300 kilometri l’ora, senza i necessari dispositivi di sicurezza. Naturalmente anche questo è possibile, ma poi non ci si può meravigliare se chi ha comprato in anticipo il biglietto, né pretende il rimborso. Non fidandosi delle conclamate e presunte abilità del conducente. Perché questa, appunto, è la natura del Mes: garantire un suo possibile intervento di fronte ad ipotetiche crisi, che possono derivare sia da semplici fatti finanziari, sia da più sostanziali squilibri macroeconomici.
I critici diranno: ma fino ad oggi ci ha pensato la BCE. Ha portato in negativo i tassi d’interesse, riducendo di conseguenza il peso della relativa spesa sui bilanci pubblici. Ha acquistato, seppure indirettamente, i titoli del debito pubblico di ciascun Paese, depositandoli presso le relative Banche centrali. Oltre 700 miliardi, nel caso italiano, secondo gli ultimi dati di settembre della Banca d’Italia: quasi il 26 per cento del totale. Perché abbandonare la vecchia strada per le incognite del nuovo? Ma perché quelle scelte erano possibili in un clima di relativa deflazione. La forte crescita dell’inflazione le ha colpite al cuore, rendendole improponibili.
In passato il divieto della monetizzazione del debito – vale a dire comprare titoli con l’emissione di moneta – stabilito dai Trattati, era stato in qualche modo aggirato. L’inflazione era ben sotto il 2 per cento. Target della politica monetaria. Al tempo stesso le asimmetrie del mercato la rendevano inefficace. Da qui la necessità di un intervento sul mercato dei titoli: non per aiutare il singolo Paese, ma per risolvere, almeno in parte, le contraddizioni proprie degli assetti di politica monetaria. L’avvio del processo inflazionistico, con la virulenza che si è vista, ha fatto venir meno i presupposti stessi di quel vecchio ragionamento, per legittimare una politica monetaria di segno opposto.
Di fronte alla stretta decisa da tutte le Banche centrali, con la sola eccezione di quella del Giappone, ciascun Paese sarà costretto a misurarsi con le proprie fragilità. Mentre in prospettiva infuria quella che Christin Lagarde definisce la “permacrisi”. Brutto neologismo, appena creato, per indicare un disordinato susseguirsi di eventi calamitosi, le cui radici affondano nella guerra voluta da Putin contro l’Ucraina e tutto l’Occidente. Fragilità che, al momento, possono essere individuate in due componenti fondamentali. La prima esclusivamente finanziaria. La seconda di natura prevalentemente macroeconomica. Fermo restando che, nella pratica, molto spesso l’intreccio tra i due elementi è inestricabile.
Come farvi fronte? Lasciando ciascuno al proprio destino? Oppure cercare di non disperdere il binomio “responsabilità – solidarietà”. Prevedere cioè la presenza di un organismo europeo – il Mes appunto – che sia in grado di erogare le risorse finanziarie indispensabili, ad un tasso minore rispetto a quello che il singolo Stato potrebbe spuntare sul mercato, ma con l’impegno da parte di quest’ultimo di mettere ordine in casa propria. Fare cioè quelle riforme che sono necessarie, nel caso persista uno squilibrio di tipo macroeconomico, affinché le risorse ottenute non siano disperse inutilmente nel crogiolo della crisi.
Senza voler minimamente entrare nel tecnicismo, questa è la logica del Mes. Se lo squilibrio è solo finanziario, sarà sufficiente fare da prestatore in ultima istanza ad un tasso agevolato. Se invece gli squilibri sono più profondi, allora la garanzia dovrà essere data dai necessari cambiamenti nella politica economica. Cambiamenti alla luce del sole: quindi verificabili secondo le procedure che saranno definite. È troppo? È la nuova Troika? Ma per carità. Se uno va dal medico per farsi curare, poi le medicine le deve prendere. Altrimenti non guarisce. Certo, a volte, la cura può essere dolorosa. Sempre meglio, tuttavia, che lasciarci la pelle.
Si, ma la Grecia: questa l’obiezione ricorrente. Ed anche giustificata. Allora si trattò più che di una cura, di un accanimento terapeutico. Alla fine produsse anche gli effetti sperati, ma ad un costo sociale ed umano esorbitante. A dimostrazione che non era sbagliato intervenire, ma che il medico non era stato all’altezza del compito che gli era stato assegnato. Pericolo, ovviamente, sempre latente. Ma che si può limitare, anche grazie alle esperienze passate. Ed allora più che discutere “Mes si – Mes no”, meglio esercitarsi sui suoi compiti futuri e sulle garanzie che devono essere fornite per evitare di riprodurre errori di quella portata.
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