Klaus Wowereit, sindaco-governatore socialdemocratico di Berlino dal 2001 al 2014, rimarrà nella memoria collettiva per la frase-bomba con cui nel 2001 ruppe il tabù dell’omosessualità nelle prime fila della politica tedesca: «Sono omosessuale, e va anche bene così». Non tanto l’essere omosessuale in sé, ma il suo “e va anche bene così”, ovvero l’inversione concettuale dell’omosessualità da stigma da nascondere a motivo di orgoglio personale, fu senza precedenti e senza dubbio un atto di grandissimo coraggio che ha cambiato la cultura politica tedesca.
Come scrisse Manzoni: Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare. Così Wowereit osò pochi mesi prima del suo celeberrimo outing una manovra politica non meno coraggiosa: da capogruppo della SPD nel parlamento cittadino convinse il suo partito a mollare la coalizione di governo insieme alla democristiana CDU, sfidò tramite il meccanismo della sfiducia costruttiva il governatore in carica Eberhard Diepgen (CDU), battendolo e facendosi eleggere a capo di una coalizione di minoranza rosso-verde tollerata attivamente dai post-comunisti della PDS. Correva l’anno 2001. Wowereit mandò poi poco dopo, per cementare la propria svolta politica, il Land Berlino alle elezioni anticipate, dalle quali uscì vincitore e sulla cui base formò un governo cittadino rosso-rosso proprio con la PDS che durò diec’anni, fino al 2011.
L’avvento al potere di Wowereit segna una svolta nella politica cittadina berlinese, che da allora ha visto non solo una ininterrotta continuità socialdemocratica sullo scranno più alto del municipio (a Wowereit sono succeduti poi i compagni di partito Michael Müller e Franziska Giffey), ma anche e soprattutto ha sancito l’avvio della primazia politico-culturale della metà sinistra dello schieramento politico nella città-stato. Così a parte il quinquennio 2011-2016, in cui la SPD preferì una coalizione con la CDU, i tre partner del primo governo Wowereit (2001) sono ancora oggi nella stessa posizione, ormai dal 2016 come alleati di e nel governo.
Nel suo decennio rosso-rosso Klaus Wowereit coniò (era il 2003) un’altra frase efficace ed incisiva: la celebre definizione di Berlino quale “arm, aber sexy”, povera ma sexy. Wowereit voleva probabilmente con quella frase dare coraggio ad una città nel pieno di un difficile processo di trasformazione, indicandone al contempo la direzione. La caduta del muro (9 novembre 1989) e la riunificazione tedesca (3 ottobre 1990) travolsero identità e modello di sviluppo tanto della ex capitale realsocialista Berlino-Est quanto della fu enclave liberal-capitalista Berlino-Ovest. Se “povera” era una fotografia della città in un momento per tanti difficile, “ma sexy” era la direzione di marcia verso l’obiettivo di diventare una metropoli attrattiva, innovativa, cosmopolita e libertina. I tanti, tantissimi che dall’ “arm, aber sexy” in poi si sono trasferiti a Berlino anche sull’onda di questa idea hanno cambiato la città rafforzandone il profilo economico, culturale e sociale.
Come tutte le cose, anche questa della città “sexy” è però una medaglia con più facce. La crescita economica e culturale ha fatto non solo crescere la popolazione, ma anche esplodere gli affitti, finendo per prosciugare uno dei più importanti canali attraverso cui Berlino ha acquisito nei decenni passati popolazione giovane ed attiva, cioè un mercato immobiliare che vent’anni fa era estremamente abbordabile ed ora è solo estremo. Un tema su cui torneremo.
Un altro lato altrettanto problematico della medaglia è che la “amministrazione” in senso classico, la parsimoniosa ed affidabile cura dell’esistente per fare in modo che nella macchina pubblica tutto funzioni come deve, non è certo stato il tratto distintivo di quella che è e vuol essere la città più progressista di Germania. Così si è venuta a cementare nell’ideale collettivo l’idea di una Berlino sì sexy, ma incapace di gestire con oculatezza risorse economiche, una città-catastrofe quando si parla di realizzazione di opere pubbliche, pianificazione degli stradari scolastici o gestione di anche semplicissimi procedimenti amministrativi: a Berlino può ben capitare di ottenere solo dopo diversi mesi un appuntamento all’anagrafe per fare la carta d’identità o dichiarare un cambio di indirizzo, anche se la legge punisce il cittadino che non lo faccia entro due settimane. O che l’ufficio competente lasci per due mesi un cadavere in camera ardente perché manca il personale per compilare il certificato di morte.
Così il 26 settembre 2021 la città “sexy ma inefficiente” ha presentato il conto. Quel giorno si sono tenute in tutta le Germania le elezioni federali, in più a Berlino le elezioni per il parlamento cittadino e per le assemblee dei dodici distretti cittadini – in realtà vere e proprie città nella città, giacché il più “piccolo” dei distretti può contare su ben 250.000 abitanti. In contemporanea si è svolto anche un referendum cittadino sulla possibilità di espropriare le grandi società immobiliari che possiedono decine di migliaia di abitazioni, i cui affitti sono ormai per molti abitanti a livelli inaccettabili.
Insomma, un vero e proprio election day, come diremmo in Italia, complicato non solo dalla quantità di schede (5 diverse) ma anche dalle diversità nel diritto al voto: mentre per il Bundestag possono votare “solo” i tedeschi maggiori di 18 anni, per il parlamento berlinese ed il referendum cittadino votano tutti i maggiori di 16 anni, purché tedeschi, mentre per le assemblee distrettuali, in quanto comuni, anche i cittadini di altri paesi UE over 16 hanno diritto al voto. Corsi o serate di formazione per gli scrutatori ed il personale elettorale non sono pressoché stati fatti, rimandando in gran parte a qualche link e alla buona volontà.