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Israele: Netanyahu placa la piazza, ma la tensione resta alta | Piccole Note

Netanyahu-con-Itamar-Ben-Gvir Tempo di lettura: 4 minuti

Le proteste oceaniche in Israele si sono placate dopo l’annuncio di Netanyahu di bloccare la riforma giudiziaria, un vero e proprio casus belli, fino alla pausa estiva, cioè luglio. In questo lasso di tempo, ha aggiunto, si è impegnato a dialogare con gli oppositori per dare altra forma alle norme contestate.

Le magie di Netanyahu suscitano diffidenza

Ma Amos Arel, che ne scrive su Haaretz, non si fida, dal momento che l’uomo politico è uso a dar vita a sofisticati giochi di prestigio politici e afferma che “ci sono buone ragioni per sospettare che Netanyahu stia solo cercando di placare il movimento di protesta e l’opposizione […] in attesa del prossimo momento opportuno” per attuare la sua riforma.

Arel registra che, grazie allo stop, egli ha già ottenuto risultati, sia placando la tensione, sia creando un cuneo tra Benny Gantz e le altre forze di opposizione, alludendo cioè alla possibilità che, come accaduto in passato, Netanyahu possa dar corpo alla sua politica grazie al supporto del partito dell’ex generale.

“Netanyahu – spiega Arel – ha fatto diffondere per tutto il giorno notizie sulla sua disponibilità alla conciliazione, ma in realtà ha ben altri piani, non altrettanto amichevoli”. Secondo il cronista starebbe creando i presupposti per un blitz improvviso, solo differito, da attuarsi magari quando i suoi rivali politici saranno “ansiosi di andare in vacanza”.

“Si dovrebbe anche notare – aggiunge il cronista – la nuova argomentazione dei suoi portavoce: la destra [al governo] ha vinto le elezioni con una larga  maggioranza lo scorso novembre, ma dopo la formazione del governo, usando metodi disonesti, le vecchie élite (piloti dell’aeronautica riservisti, uomini d’affari, stampa, ecc. .) sono riuscite a sventare l’attuazione del suo programma. La conclusione ovvia è che ‘la prossima volta li investiremo’. In altre parole, d’ora in poi, smetteremo di essere gentili. Da qui, la strada è breve per tentare di legiferare leggi che impediscano ai partiti arabi di candidarsi alla Knesset, assicurando così un governo di destra duraturo”.

La milizia di Ben Gvir

Quindi, Arel accenna al discorso alla nazione del leader israeliano e di come egli sia riuscito a placare l’insurrezione di Itamar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, che aveva minacciato di far cadere il governo se il premier avesse ceduto alle pressioni per bloccare la riforma giudiziaria.

“Itamar Ben-Gvir, con cui Netanyahu ha rifiutato di farsi fotografare poco prima delle elezioni, ha ricevuto la sua dolce ricompensa: la promessa di istituire una guardia nazionale subordinata direttamente a lui. Difficile da credere, ma il primo ministro sta assegnando a un discepolo di Meir Kahane [organizzazione un tempo designata come terrorista anche in Israele ndr] una milizia armata privata, che non risponderà alla polizia”.

“Forse entro l’estate sarà possibile vedere questa questa milizia all’opera nel reprimere le manifestazioni, invece di affidare tale compito a poliziotti con una lealtà democratica eccessivamente sviluppata. Sarà interessante vedere se il reclutamento di questa milizia avverrà pescando dai gruppi preferiti dal ministro, come […] La Familia e Lehava”, cioè movimenti di estrema destra.

Quindi, Arel si dilunga sulla controversa vicenda del licenziamento del ministro della Difesa Gallant, il quale si era espresso contro la riforma giudiziaria facendosi in qualche modo portavoce, secondo il cronista, di un sentimento diffuso nell’esercito. Tanto che un eventuale sostituto non sarebbe ben accolto. E conclude ribadendo che “il discorso di Netanyahu non è stato altro che una cortina fumogena creata a fini tattici, senza alcun cenno di volontà a un vero dialogo”.

Non sappiamo se sia vero, ma quanto scrive Arel è plausibile. Peraltro, in questi giorni Netanyahu si è dato da fare a modo suo per ricucire i rapporti con l’America, deteriorati a causa della forte presa di posizione dell’amministrazione Biden, il quale ha chiesto senza mezzi termini che Netanyahu si aprisse a un dialogo con i suoi oppositori.

Il soccorso dei repubblicani Usa a Netanyahu e i palestinesi

A quanto si legge su un altro articolo di Haaretz, Netanyahu sta serrando ancor più i suoi rapporti con il partito repubblicano, i cui esponenti hanno criticato Biden per essersi intromesso in una questione interna del Paese alleato. E ad aprile si attende una visita di Ron DeSantis, in predicato per succedere a Biden, che giungerà in Israele per baciare la pantofola del suo alleato mediorientale.

Dal momento che le primarie per le presidenziali iniziano a settembre, e il peso dei suoi alleati repubblicani inizierà conseguentemente a crescere, Netanyahu può legittimamente sperare di trovare in futuro un’America meno oppositiva. Vedremo, tante le incognite.

Fin qui, gli interna corporis della lotta politica israeliana, che vede però esclusa, al solito, la minoranza araba. Una contraddizione fotografata da Tamar Nafar, il quale su Haaretz scrive che quanto si sta consumando in Israele “è una sorta di lotta di popolo, ma che non arriva nel profondo. I palestinesi fanno manifestazioni popolari, di quelle che a volte finiscono con la morte. Le più potenti organizzazioni  economiche [israeliane] non si mobilitano per proteggerci o per darci giorni di ferie per permetterci di protestare; e alla fine anche l’Alta Corte di Giustizia , simbolo della vostra democrazia, razionalizza le uccisioni. Pensi che sia probabile che l’aeroporto internazionale Ben-Gurion annulli i voli per fermare la demolizione di una casa a Lod?”

Riportiamo solo questo cenno, Nafar ne fa tanti altri e altrettanto amari. Tale la contraddizione che abita Israele e che l’attuale conflitto politico, che si connota come una lotta per la libertà e la democrazia, non ha sciolto. Non sappiamo se lo sarà in futuro, sempre che la lotta intestina in Israele abbia un prosieguo, ma resta un nodo gordiano da sciogliere.

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