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Noi scontenti sotto la cappa – Marcello Veneziani

di Marcello Veneziani

Intervista a cura di Claudia Presicce per il Quotidiano di Puglia

Cominciamo dall’inizio: perché siamo scontenti? Nella nostra epoca dovrebbe essere più facile vivere per tanti aspetti rispetto alle precedenti, eppure siamo anche più soli e meno coesi…

Infatti la nostra epoca per longevità e benessere non ha precedenti. Ma la scontentezza dilaga oggi più di ieri. Perché non è questione di quantità o di agi materiali ma è disagio spirituale, insoddisfazione. C’è ormai una forbice molto larga tra realtà e desideri e c’è una fabbrica dei desideri che ci incita continuamente ad essere altro da noi, a volere altro, a rigettare la nostra identità, i suoi limiti.

In che rapporto è questo stato d’animo con quello che ha alimentato nella storia epoche di ribelli e rivoluzionari? Siamo al di sotto di quella Cappa che ha ben descritto nel suo libro precedente: quindi in qualche modo “incappati” e paralizzati?

Lo scontento viene coltivato a vari livelli, interiore, privato e pubblico. E il malcontento spesso sfocia nell’incontentabilità e dunque non produce tibellione ma astio e disaffezione.

Lei scrive: La politica non riesce più a esercitare la decisione né a intercettare il dissenso; tende a unificarsi e uniformarsi, fino a inglobare le differenze, che sono poi il sale della libertà. Nella matrioska del potere, il governo politico è la bambola più piccola. Spieghiamo queste riflessioni?

La politica è stata via via esautorata del suo potere di decisione e di cambiamento. Deve solo seguire trend, direttive, allinearsi a poteri sovrastanti. Si sfoga così con alcuni surrogati, come il politicamente corretto o sceneggia differenze ideologiche non potendo incidere sulla realtà in modo efficace e profondo.

Anche l’incalzare bellico produce scontentezza. Un anno fa lei mi disse: “L’Italia si è scoperta improvvisamente guidata da falchi e militaristi ad oltranza, che agiscono a scapito delle nostre urgenze sociali ed economiche”. Aveva ragione. Le chiedo se la pensa ancora così: quanto, come e se è peggiorata questa situazione?

Siamo sotto una cappa, anche dapprima della guerra. Diciamo che la gestione della pandemia è stato il primo test, poi è venuta la guerra, l’allineamento assoluto, il divieto di critica, la demonizzazione del dissenso. Altre emergenze come quelle climatiche, ambientali, migratorie, imporranno di mettere da parte divergenze e, “per il nostro bene” allinearsi e accettare la democrazia vigilata.

Torniamo a noi, alle relazioni umane che appaiono più complesse perché in evoluzione entro canoni del malcontento che coincidono col disagio sociale, spesso psichico. Un tempo si chiamava alienazione: quanto è oggi un fenomeno riconducibile all’esasperato capitalismo (tra finanza e tecnologia aggressive) che genera individualismo e taglia le gambe a valori come solidarietà, collaborazione, umanità, accettazione dell’altro?

Il capitalismo ha responsabilità primarie soprattutto da quando è diventato un sistema globale e pervasivo che impone i suoi diktat economico-finanziari, tecnocratici, consumistici. Dietro la scontentezza c’è la fabbrica dei desideri illimitati. L’individualismo uccide ogni legame sociale, ripiega in un narcisismo patologico di massa. È da un ritrovato senso critico che può partire la mutazione dello scontento distruttivo in energia di cambiamento, ricerca e fondazione di un più sano rapporto con la realtà.

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