di Marcello Veneziani
Che fine ha fatto l’ordine naturale e che ne è dell’uomo al centro dell’universo? Prevale nel nostro tempo la percezione di vivere nel Caos, più che all’interno di un Ordine; è in corso una guerra mondiale contro la Natura, e l’Uomo non è più al centro del mondo ma è un terminale periferico dei suoi strumenti e dei suoi prodotti. Andiamo con ordine e ripartiamo dagli inizi della modernità. Per rappresentare l’uomo rinascimentale immaginiamo due assi che s’incrociano: uno va dalla natura alla scienza e l’altro dall’arte alla magia. Al centro dei due assi è l’uomo, concepito nel Rinascimento come homo faber, artefice della sua fortuna. Egli è al centro dell’universo, Marsilio Ficino lo definisce “copula mundi”; Pico della Mirandola lo ritiene fabbro del suo destino, libero di scegliere se diventare angelo immortale o bestia mortale. Quello fu il momento irripetibile in cui l’uomo si sentì creatura e insieme creatore, figlio di Dio e padre del mondo, apice dell’ordine naturale, proteso verso l’ordine soprannaturale. Fu il tempo magico e breve, in equilibrio perfetto e precario, in cui l’uomo, misura di tutte le cose, diventò centro dell’universo; ma la svolta antropocentrica non era ancora situata fuori dal regno di Dio e dal regno della Natura, era dentro quel doppio solco.
Quel sogno fu rappresentato da artisti e scienziati, pensatori e alchimisti, e trovò in Ulisse Aldrovandi il grande scopritore e classificatore della natura. Nel cuore del cinquecento, Aldrovandi si mosse tra l’osservazione scientifica e l’immaginazione artistica, e generò quella visione del mondo in cui la scoperta dell’ordine naturale si affaccia sul sogno di oltrepassarlo. A quei reperti, a quella collezione, il Centro Arti e Scienze Marino Golinelli di Bologna dedica una mostra, arricchita anche da opere d’arte di autori contemporanei e da materiali e spunti provenienti dall’agenzia spaziale europea, dalla ricerca sulle neuroscienze e l’Intelligenza Artificiale. Perché il progetto non è solo quello di portare alla luce l’opera del grande naturalista bolognese, ma di andare oltre il tempo e lo spazio, e capire cosa ne è oggi del progetto umano rinascimentale e dell’ordine naturale a cui si riferiva. Di questo ieri si è parlato in un convegno all’opificio Golinelli con gli ideatori e curatori della mostra, da Andrea Zanotti, presidente della Fondazione Golinelli a Roberto Balzani, da Gian Ruggero Manzoni a Antonio Danielli (io ho introdotto la discussione). Come sono cambiate da allora a oggi la scienza, l’arte e la tecnologia, cosa hanno prodotto nel mondo e come hanno modificato il posto dell’uomo? Hanno spodestato l’uomo, che non è più al centro dell’universo; e hanno liquidato l’idea stessa di un ordine naturale e che nel suo contesto sia situata la natura umana, coi suoi limiti invalicabili, le sue differenze sessuali. Siamo entrati nell’epoca inversa del Rinascimento, ossia nel Denascimento.
L’idea stessa di natura è stata sostituita dalla definizione più asettica di ambiente, che si può riferire tanto al mondo naturale quanto al mondo costruito dall’uomo. Ambiente è un bosco come una fabbrica, una stanza come un fiume. Il rigetto metafisico della natura è il rifiuto della realtà che precede l’uomo, del mondo che non abbiamo fatto e voluto noi, ma in cui siamo immessi dalla nascita. Natura vuol dire creato, e l’uomo creatura; vuol dire legge naturale, ordine naturale.
Rispetto alla visione rinascimentale, c’è stata una doppia trasmutazione: madre natura è sostituita dalla maternità surrogata dell’ambiente; e l’homo faber è sostituito dalla tecnica e dai suoi prodotti; mediante l’intelligenza artificiale, il predominio hi-tech, la dipendenza dalle “macchine”. E’ l’inversione dei mezzi e dei fini: il regno dei fini che è il regno dell’uomo, cede il posto al regno dei mezzi, che tendono via via ad assumere sovranità tramite lo scettro dell’economia, la bacchetta magica della tecnologia, il trono dell’automazione. L’uomo è l’assistente del suo robot, non più “l’utilizzatore finale” della tecnologia ma il terminale periferico dei suoi stessi strumenti e del suo procedere senza scopo, tra segni privi di senso, algoritmi privi di significato. Lo snaturamento del mondo coincide con la sua disumanizzazione. A prefigurare questo scenario, ma in chiave positiva, è Elémire Zolla in Uscite dal mondo.
In verità questo processo era già in nuce nel Rinascimento, soprattutto nel suo versante magico, alchemico e prometeico, in certe rappresentazioni divine dell’uomo e nel sogno stesso di scienziati e naturalisti come Aldrovandi. Dapprima si affida alla facoltà immaginativa dell’artista; anzi l’artista-scienziato si fa prima scopritore, poi inventore, infine demiurgo. Strada facendo cresce il mondo artificiale sul mondo naturale, ma è ancora il mondo fabbricato dall’uomo che potenzia e prolunga le sue mani, la sua vista, la sua natura, tramite gli strumenti meccanici e non solo, in un succedersi esaltante di invenzioni e di perfezionamenti progressivi.
La parabola dei mezzi cresce, la parabola dei fini decresce: l’automazione finisce col rendere automatici i processi, non più dipendenti da finalità e volontà umane. Così accade il paradosso che l’uomo modifica la natura ma è modificato dalla tecnica, riduce l’influenza della natura ma subisce l’influenza della tecnica; un trasferimento progressivo di sovranità fra vasi comunicanti. Così perveniamo all’odierna alienazione: dal superuomo al transumano, dal potenziamento dell’umanità all’abdicazione della libertà, dell’intelligenza critica e della dignità umana. La MegaMacchina va per conto suo, spariscono la storia, la creatività, il pensiero, l’umanità. Parafrasando Goya, la morte dell’arte e il sogno della tecnoscienza possono produrre mostri.
Ma è proprio impossibile immaginare deviazioni di percorso, cambi di destinazione? Il futuro non è la copia conforme del presente. L’avvenire, come l’uovo di Pasqua, serba sorprese.
La Verità – 5 aprile 2023
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