“Ho fatto un giornale indipendente, forse troppo”. Che cosa ha scritto Stefano Feltri dopo essere stato sostituito alla direzione del quotidiano Domani per volontà dell’editore Carlo De Benedetti.
Quando è nato Domani, nel 2020, abbiamo fatto tutti la scommessa che per i giornali uno spazio ci fosse. Magari non enorme, ma rilevante.
Dopo tre anni e che quell’esperienza è finita, almeno per me, posso confermare che uno spazio c’è eccome: perché in questi anni Domani è stato molto più di un contenitore di articoli.
Ci siamo concentrati su due cose: produrre informazione originale, che nessuno aveva e che tanti preferivano evitare che uscisse, e mettere insieme analisi, opinioni e idee che permettessero di affrontare la complessità.
Il giornalismo, inteso come generazione di contenuti e non come condivisione di notizie già pubbliche, è un bene pubblico: il mercato non ne produce abbastanza, perché costa tanto ma ritorni limitati, perché appena una notizia esclusiva, uno scoop, una inchiesta o anche una polemica entra in rete, subito diventa di chiunque voglia rilanciarla.
E i ritorni sull’investimento – cioè i benefici a fronte dei quali si sono sostenuti i costi di produzione – vanno un po’ a tutti.
Per questo, tra le tante ragioni, è così difficile raggiungere un equilibrio economico che, durante la mai gestione, Domani non aveva (ancora) conquistato.
Dunque, a cosa serve un giornale?
Alla luce delle tante reazioni che ho ricevuto in questi due giorni alla scelta dell’azienda di sostituirmi come direttore, mi sembra sempre più chiaro.
Lo dico con le parole di Giorgio Gaber, lui parlava del comunismo, ma per uno strano slittamento semantico quelle attese, speranze e desideri si applicano anche al giornalismo che abbiamo cercato di praticare a Domani.
Qualcuno era giornalista, mi viene da dire usando Gaber, perché così era “più di se stesso: era come due persone in una”.
“Da una parte la personale fatica quotidiana
E dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo
Per cambiare veramente la vita”
Con Domani siamo stati tutti più di un insieme di individui, una rete di intelligenze, competenze e speranze che ci ha fatto intravedere un modo diverso di impostare il dibattito pubblico e, dunque, il paese.
L’incredibile affetto di queste ore non credo vada a me come persona – molti mi conoscono appena – ma a questa idea di giornalismo e partecipazione che, assieme a decine di giornalisti e centinaia di collaboratori, ho tentato di praticare in questi tre anni.
Grazie alle risorse fornite dell’editore abbiamo potuto produrre un giornalismo di inchiesta originale (dovessi dire la cosa di cui sono più orgoglioso è l’inchiesta sugli abusi nella Chiesa, a cura di Federica Tourn sotto la supervisione di Giorgio Meletti e con le donazioni di centinaia di lettori).
Grazie alla partecipazione di tantissime e tantissimi abbiamo creato un cervello e forse un cuore collettivo che ha iniziato a pensare e pulsare sempre più forte.
Questo percorso ora è finito, non per una mia decisione, auguro ogni bene a chi resta e a chi continuerà a impegnarsi.
A prescindere dalla conclusione, questi tre anni mi lasciano una bella dose di speranza e fiducia.
Ho fatto un giornale indipendente, forse troppo, e in tanti hanno dimostrato che non aspettavano altro che una boccata di aria fresca per dimostrare che questo paese può essere migliore di come spesso ci sembra.
Questo è tutto quello che ho da dire sulla vicenda, adesso qualche giorno di riposo per Pasqua e poi si ricomincia, in forme e modi da definire, magari qui, magari altrove.
Buona Pasqua e, come si dice negli Scout, buona strada a chi ha creduto nel mio e nostro Domani.
Stefano Feltri
(Estratto di un post di Stefano Feltri sul suo blog; qui la versione integrale del post)
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GLI APPROFONDIMENTI DI START MAGAZINE SUL CASO DOMANI QUOTIDIANO:
Perché De Benedetti ha rottamato Feltri e nominato Fittipaldi alla direzione di Domani quotidiano
Sarà Marco Damilano il perfetto direttore benedettiano di Domani con Fittipaldi?
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