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Allarme! La destra ripristina la tortura – Marcello Veneziani

di Marcello Veneziani

Giorgia Meloni vuole ripristinare la tortura in Italia. È quello che dicono e scrivono a sinistra in questi giorni. Perfino Corrado Augias denuncia allarmato sulla prima pagina de la Repubblica l’insano proposito della destra “di allarmante gravità in sé e per l’ordine mentale e storico dalla quale è scaturita”. E richiama le torture inflitte al filosofo Tommaso Campanella, non il mese scorso o a causa del ministro Piantedosi ma nel 1600…

Intanto si mobilitano le associazioni che tutelano i diritti umani, per l’orrendo tentativo di reintrodurre in Italia la tortura. Ci ricomponiamo dal turbamento, e andiamo a vedere davvero di cosa si tratta. Dunque il reato di tortura fu introdotto in Italia nel 2017 dal governo Gentiloni di centro-sinistra sull’onda emotiva dei processi per Bolzaneto e per il caso Cucchi. Quando fu introdotto, lo stesso circo mediatico scriveva all’unisono: “La tortura in Italia ora è reato”. Scusate, ma volete davvero farci credere che prima era ammessa? Volete dire che nella patria di Cesare Beccaria non ci eravamo mai accorti, per secoli, che si praticava la tortura perché non c’era una legge apposita? E senza risalire ai tempi in cui Augias frequentava Campanella, nel ‘600, pure i governi più recenti, quelli di Prodi, di Berlusconi, di Monti, di Letta e di Renzi, acconsentivano che in Italia ci fosse libera tortura in libero Stato? Invece dal 2017 passammo finalmente alla civiltà e non fu più torturato nessuno… Erano visibilmente contenti in quei giorni pure i delinquenti e reduci che misero a ferro e fuoco Genova per il G8; ma di tutta quella pagina oscura e feroce, rimase solo la pagina nera della caserma di Bolzaneto. E così col caso Cucchi, il geometra martire.

Vi invito a riflettere sull’impostura ideologica, la falsificazione della realtà, il significato intimidatorio che ebbe quella legge sulla tortura. Dietro quella legge c’era un consolidato meccanismo mentale. Si prende un caso limite, lo si carica di pathos e si moltiplica il fatto accaduto per mille. Poi scatta la campagna emozionale che rende necessaria, urgente, prioritaria e inderogabile la legge, scritta su misura per un singolo episodio, amplificato dai media e drammatizzato dai teatranti politici.

E’ ormai un criterio generale. Se uccidi una persona c’è già la legge che lo punisce, e poi il giudice applicherà le aggravanti o le attenuanti del caso. No, bisogna inventarsi il femminicidio (come se uccidere un uomo, un vecchio o un bambino sia meno grave). Egualitari a parole, violano il principio elementare della legge uguale per tutti. Se offendi, torturi o aggredisci una persona, bastano le leggi vigenti per punirlo; no, non basta, ci sono reati più reati degli altri, come quelli compiuti con una motivazione razziale o sessista, o concepiti nel nome dell’omofobia, la xenofobia o l’islamofobia.

Usano un caso per colpire la regola. Così si distrugge l’universalità delle norme su cui regge la giustizia. Per colpire un caso effettivo o presunto di tortura, sfuggita alle maglie della giustizia, si crea uno strumento giudiziario per legare le mani alle forze dell’ordine, per intimidirli a priori, anche quando devono interrogare e spingere alla confessione un criminale. Certo, usare le maniere forti coi delinquenti non vuol dire torturare, c’è un limite evidente; e un magistrato, in caso, deve cercare di appurare se quella soglia sia stata superata o no. Ma una legge come quella in vigore ormai da circa sei anni, serve solo a dire a priori da che parte sta lo Stato: non dalla parte delle forze dell’ordine ma dalla parte di chi delinque. Senza dire che gli stessi “garantisti” nei confronti dei delinquenti, in altri contesti ideologicamente avversi, fanno i giustizialisti e i giustizieri. La legge sposta l’attenzione del magistrato dal delinquente al poliziotto che l’ha catturato o lo sta interrogando. Da tenere sotto osservazione è l’uomo in divisa, non il criminale. Una legge come quella sulla tortura esercita una pressione psicologica sui giudici, i poliziotti e i carabinieri per scoraggiarli, sapendo che appena metteranno le manette a qualcuno o lo faranno sedere per interrogarlo, potranno essere accusati di averlo torturato. Ma la tortura è pure un alibi internazionale. Pensate al divieto di espellere i clandestini se nel paese da cui provengono è ancora in vigore la tortura.

L’emergenza vera del nostro Paese, semmai, è che troppi delinquenti restano impuniti; ma per la setta ideologica anzidetta il problema è la tortura… Corollario di questa legge come delle altre è la convinzione che se finora la giustizia è stata inefficace o ingiusta, basterà una nuova legge e tutto cambierà; quando si sa che il vero problema è nell’applicazione della legge, nella sua interpretazione, nella sua tempistica, nella sua efficacia reale. Invece per loro tutto il problema è che prima nel codice non c’era la parolina giusta, Ora c’è il reato di tortura, quindi siamo a posto. In realtà con una norma antitortura siamo a posto solo per legittimare la battaglia ideologica anti-polizia, pro-clandestini, pro-centri sociali violenti, pro anarco-insurrezionalisti e pro-delinquenti. Ma sul piano della realtà, della sicurezza, della giustizia e dell’efficacia normativa facciamo un grande passo indietro. Ora i parlamentari di Fratelli d’Italia, capeggiati da Emma Vietri, hanno proposto di abrogare gli articoli 613-bis e 613 tre del codice penale, relativi alla tortura “Per tutelare adeguatamente l’onorabilità e l’immagine delle Forze di polizia, che ogni giorno si adoperano per garantire la sicurezza pubblica rischiando la loro stessa vita, e per evitare le pericolose deviazioni che l’applicazione delle nuove ipotesi di reato potrebbe determinare”. Mi sembra una preoccupazione sacrosanta. Chi tortura sia punito in base al codice penale, senza bisogno di una legge ad hoc, che serve a torturare preventivamente le forze dell’ordine, a diffidare di loro e a farle sentire in colpa preventiva. (A proposito: Campanella libero!)

La Verità – 29 marzo 2023

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