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Da Londra ecco i lockdown files: a quando la nostra House of Covid? – Gianluca Spera

Su La Stampa, commentando l’inchiesta di Bergamo sulla gestione pandemica, Eugenia Tognotti si è chiesta se sia corretto “giudicare con le conoscenze di oggi ciò che è stato fatto allora”, paventando il rischio della “ricerca di un capro espiatorio come al tempo della peste nera”. A una prima lettura, appare un po’ ipocrita evocare una sorta di caccia alle streghe quando, per oltre un biennio, il principale compito dell’informazione italiana è stato quello di esporre al pubblico ludibrio il malcapitato di turno.

A partire dai maratoneti solitari ritenuti untori per antonomasia, passando per quelli che furono definiti in maniera assai dispregiativa negazionisti solo per aver espresso posizioni critiche nei confronti delle strategie sanitarie del governo, per finire con i temibili no-pass alla cui giornata da segregati il Tg1 dedicò un servizio memorabile.

Così come appare francamente inconferente il richiamo alle “conoscenze di oggi” che diventerebbero una sorta di alibi per giustificare decisioni che, già tre anni fa, erano apparse del tutto sproporzionate e inadeguate.

Processo politico o scientifico?

Peraltro, la scorsa settimana, avevamo espresso la stesso scetticismo sull’inchiesta giudiziaria in corso (per ragioni differenti da quelle paventate dalla Tognotti), auspicando che sia la nascente Commissione d’inchiesta parlamentare a ristabilire la verità storica e a evidenziare gli errori politici commessi.

Peraltro, proprio la Tognotti è stata ascoltata dalla Commissione Affari sociali della Camera, nell’ambito dell’esame sulla proposta di creazione della commissione parlamentare d’inchiesta, esponendo la sua contrarietà a un’indagine politica e proponendo, invece, l’istituzione di un consesso di esperti (anche internazionali) scelti per le loro competenze. Insomma, si passerebbe dal processo politico (previsto e disciplinato dalla nostra Costituzione) a quello scientifico che, però, non troverebbe alcuna legittimazione nell’attuale quadro normativo.

A meno di non riesumare una specie di Cts con poteri speciali che, forse, troverebbe fondamento in uno dei tanti tweet di Burioni: la scienza non è democratica. Inoltre, al di là della legittimazione, bisognerebbe comprendere i criteri sulla base dei quali sarebbero scelti questi presunti esperti di fama mondiale.

E ci sarebbe pure da domandarsi se quelli che hanno preso colossali cantonate (pur conservando una discreta esposizione mediatica) sarebbero eventualmente eleggibili. Si potrebbe optare pure per un biscardiano processo alla pandemia da trasmettere a reti unificate. Probabilmente, sarebbe la definitiva consacrazione mediatica per alcuni con tanto di televoto a stabilire promozioni ed eliminazioni.

Gli errori di Fauci

E chissà se tra questi competenti ci sarebbe spazio pure per Anthony Fauci, sempre più sulla graticola negli Stati Uniti. D’altronde, proprio per smontare le obiezioni della Tognotti, già nel novembre del 2021, la rivista Newsweek aveva messo nel mirino il famoso immunologo accusato di aver commesso una serie di errori.

Il primo è stato quello di non aver riconosciuto la maggiore efficacia e durata dell’immunità naturale rispetto a quella indotta da farmaco, dato ormai attestato da diversi studi scientifici. Invece, la massiccia campagna di vaccinazione, messa in piedi da Fauci, rivolta anche ai bambini, agli studenti e alle fasce giovani della popolazioni (molto meno esposte ai rischi della malattia acuta) ha distolto l’attenzione – secondo il ragionamento di Newsweek – dalla necessità di proteggere gli anziani provocando gravi ricadute su tutto il sistema sanitario.

Un altro disastro è stato quello determinato dalla chiusura delle scuole. Il magazine americano ha citato a tal proposito l’esempio della Svezia che ha tenuto le scuole aperte senza imporre né mascherine o test preventivi. Risultato: nessun decesso tra gli allievi e rischio molto più basso per gli insegnanti, anche rispetto ad altre categorie di lavoratori.

Inoltre, Newsweek ha illustrato i motivi per cui non vi era alcuna evidenza scientifica circa l’efficacia delle mascherine nel ridurre la diffusione del contagio. Così, come si era rivelato uno spreco di risorse quello di tracciare tutti gli infetti nell’utopistico obiettivo di azzerare gli stessi contagi.

Per cui, capovolgendo il ragionamento della Tognotti, si può giudicare con le conoscenze di allora (e non di oggi) ciò che è stato fatto a suo tempo, soprattutto nel momento in cui le decisioni dei governi hanno inciso così pesantemente su diritti costituzionalmente presidiati.

Bisogna spaventarli a morte

Per esempio, pure i governi che hanno avuto un approccio meno draconiano alle vicende sanitarie hanno, però, strumentalizzato la paura per imporre le norme restrittive. Lo ha rivelato il Daily Telegraph pubblicando i messaggi scambiati in chat dall’ex segretario di Stato per la salute, Matt Hancock, con i suoi collaboratori.

Bisogna spaventarli a morte”, scriveva Hancock per far digerire il lockdown ai cittadini britannici, rincarando la dose non appena veniva scoperta qualche nuova variante. Insomma, tutto il mondo è Paese. In Italia, si è agito più o meno allo stesso modo con un’unica sostanziale differenza: le regole imposte sono state ben più dure e durature di quelle applicate oltremanica causando una sospensione inedita e prolungata dallo stato di diritto.

La lezione pandemica

La Tognotti, in conclusione del suo pezzo, si augura che la lezione pandemica sia stata assimilata così da non trovarsi impreparati di fronte a una nuova emergenza. Non aggiunge, tuttavia, che questa impreparazione non può essere scaricata sui cittadini privandoli dei diritti e delle libertà fondamentali a colpi di annunci tremendisti con cui fargli metabolizzare la situazione.

E che l’istituzionalizzazione dell’emergenza non può più rappresentare il grimaldello per consentire al potere di travalicare i propri limiti. È questo l’insegnamento che non può essere ignorato. Al di là della necessità impellente di illuminare ogni angolo della nostra House of Covid.

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