Il Salone del Libro di Torino non vuole Alessandro Orsini. Il Fatto Quotidiano scrive che venerdì 19 maggio alla sala rossa è in programma una presentazione del libro “Ucraina, critica della politica internazionale” edito dalla casa editrice del quotidiano Paper First. Il libro ha venduto 30 mila copie tra edicola e libreria. Quello spazio doveva essere occupato da un altro libro della stessa Paper First, quello del generale Fabio Mini. Che però non potrà essere presente. Per questo il Fatto ha pensato di sostituirlo con Orsini. Ma dall’organizzazione è arrivato un diniego. Che Marco Lillo, vicedirettore del quotidiano di Travaglio, consiglia a Nicola Lagioia di rivedere. Anche se non sa se ne sia stato informato o meno.
La kermesse e il professore
Secondo Il Fatto la storia è andata così: per la kermesse che si terrà dal 18 al 22 maggio l’organizzazione ha chiesto di presentare il libro di Travaglio “Scemi di Guerra”, quello di Antonio Padellaro “Confessioni di un ex elettore” e quello di Mini “L’Europa in guerra”. Paper First, che paga «lautamente» il suo stand al Salone, ha proposto di inserire anche una presentazione per Orsini. L’organizzazione ha detto sì a Travaglio, Padellaro e Mini. Ma non ha mai risposto su Orsini. Paper First ha provato allora a inventare un dibattito dal titolo “La guerra in Europa” che avrebbe visto presenti Mini, Orsini e Alessandro Di Battista. Qui è arrivato l’ok. Ma quando è sopravvenuta l’indisponibilità di Mini il Fatto ha pensato di presentare solo il libro di Orsini.
L’appello a Nicola Lagioia
Il Salone allora ha risposto che ritiene che «il libro di Fabio Mini possa completare meglio il programma su un argomento che è comunque già molto presente. Nulla osta se Mini desidera avere Orsini come interlocutore, naturalmente». L’impressione, secondo Lillo, è che il Salone del Libro di Torino «non voglia mettere in cartellone il libro di Orsini. Accettando il professore al massimo come ospite di un altro autore». E conclude dicendo che il Salone può legittimamente escludere Orsini e il suo libro. Ma «non può ignorare il pessimo segnale di chiusura verso un’idea diversa da quella dominante nelle élite che esprimono la dirigenza del Salone su una questione fondamentale come la guerra».
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