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“Penso che per la quantità di denaro che abbiamo investito in questa [guerra], per demoralizzare e sconfiggere l’esercito russo… attraverso l’Ucraina, senza che uno solo dei nostri soldati – cioè nessun soldato americano – sia stato coinvolto o sia morto, sia un buon investimento”. Così Michael McCaul, deputato repubblicano eletto in Texas.
Le sue dichiarazioni, brutali nella loro franchezza, sono state riportate da The Hill e dimostrano più di tante spiegazioni la cruda realtà di questa guerra per procura contro la Russia, al di là delle vuote formule retoriche su libertà, regole, diritto internazionale etc brandite usualmente come giustificazione per supportare militarmente Kiev.
A “indebolire la Russia“, per riprendere le dichiarazioni del Capo del Pentagono (costretto poi a correggere le voce dal sen fuggita) in nome e per conto degli Stati Uniti d’America sono chiamati gli ucraini, mandati al macello al posto dei loro fantaccini.
Il fatto che a dire queste cose sia un repubblicano sembra indicare che il controllo della Camera da parte di tale partito – esito delle recenti elezioni di midterm – non cambierà di molto le cose, anche se nell’articolo di The Hill citato si legge che i congressisti del GOP ha chiesto di visionare nel dettaglio gli aiuti inviati in Ucraina. Vogliono evitare sprechi, dicono, e forse ciò prelude a qualche cambiamento di approccio. Ma, appunto, è meglio non coltivare eccessive attese in tal senso.
Cosa sottende lo scambio di prigionieri?
Resta però da capire cosa si cela dietro lo scambio di prigionieri avvenuto ieri tra Russia e Stati Uniti, che ha riportato nelle rispettive patrie la cestista americana Brittney Griner e il trafficante di armi Viktor Bout.
Uno scambio in stile Guerra Fredda avvenuto negli Emirati Arabi, la cui paternità è stata rivendicata sia da Abu Dhabi che da Riad, le quali si sono così intestate un successo politico, ruolo che invece la Casa Bianca ha ridimensionato per intestarsi tutto il merito (ne va del lucro politico).
Al di là delle diverse intestazioni, lo scambio indica che qualcosa si è mosso nei rapporti tra Mosca e Washington. Così la Reuters: “Diplomatici russi e statunitensi si sono incontrati venerdì a Istanbul per discutere una serie di questioni tecniche riguardo il loro rapporto, come hanno dichiarato sia il viceministro degli esteri russo che l’ambasciata americana ad Ankara”. La nota dell’agenzia britannica spiega che l’Ucraina, ovviamente, non è a tema. Ma, altrettanto ovviamente, ciò è impossibile.
Probabile che la Russia abbia chiesto di porre fine agli attacchi ucraini contro il suo territorio che si sono susseguiti in questi giorni, con i droni di Kiev che hanno colpito in tre diversi aeroporti.
Se si considera che tali attacchi hanno preso di mira le basi nelle quali stazionavano alcuni bombardieri strategici russi, che sono impiegati anche per essere armati di testate nucleari, si può immaginare l’irritazione di Mosca, perché pone a rischio il gioco della deterrenza globale.
I media nostrani hanno celebrato tali operazioni come una grande dimostrazione di grande coraggio, nulla importando che l’irritazione dei russi si sarebbe rivolta verso gli sponsor di Kiev.
Il rischio è apparso fin troppo chiaro, invece, al Capo del Dipartimento di Stato Tony Blinken, che si è affrettato ad affermare che gli Stati Uniti non avevano “sollecitato” né “supportato” tali attacchi (ma evidentemente qualcuno li ha supportati, gli ucraini non hanno le capacità necessarie all’azione, tant’è).
Una dichiarazione rilasciata alla stampa il giorno che ha preceduto lo scambio di prigionieri, che gli attacchi in questione, evidentemente, rischiavano di mandare all’aria.
E forse, a stare alla tempistica, era proprio questo l’intento di tali operazioni, dal momento che, anche se l’accordo sui prigionieri non sembra preludere a un cessate il fuoco, dovrebbe però creare un clima più favorevole a un’intesa che riduca i rischi di iniziare la terza guerra mondiale, come sembra indicare l’incontro di Istanbul.
Kiev chiede bombe a grappolo
Altra notizia interessante: la Cnn ha rivelato che gli Stati Uniti stanno valutando la risposta a una richiesta degli ucraini di inviare nel teatro di guerra le bombe a grappolo stivate nei loro magazzini.
Richiesta imbarazzante, dal momento che tali ordigni sono talmente distruttivi e pericolosi per i civili da essere vietate da una specifica convenzione internazionale, firmata a Dublino, che peraltro non ne inibisce solo la produzione e l’uso, ma anche lo stoccaggio (invece l’America li detiene) e il “trasferimento” ad altre parti…
Imbarazzante, appunto, anche per quanto riguarda il pregresso. Infatti, nel corso della guerra ucraina tali ordigni sono stati utilizzati, eccome. I russi hanno accusato gli ucraini e questi ultimi i russi, con l’Occidente che, ovviamente, accreditava la versione questi ultimi, mentre i suoi media si prodigavano in spiegazioni sui danni che le bombe a grappolo arrecano alla popolazione civile (vedi ad esempio, l’articolo del New York Times del 25 agosto dal titolo: “Secondo uno studio, le bombe a grappolo hanno ucciso 700 persone in Ucraina”).
Il fatto che Kiev le abbia richieste agli Usa non porta necessariamente a indicare una sicura responsabilità ucraina nei casi precedenti (anche se un caso specifico la responsabilità dell’esercito ucraino è stata documentata dal New York Times) , ma a questo punto è certo che, se avessero avuto tali ordigni, li avrebbero usati.
Interessante, infine, che gli Stati Uniti stiano valutando la risposta. Dopo aver esecrato i russi perché avrebbero usato tali bombe, ci si sarebbe aspettato un secco e immediato rifiuto.