Bellissima regione, politicamente il Lazio che va alle urne fra due mesi fa abbastanza schifo. Si sommano qui il peggio della politica romana, vizi furbizie clientele, e Il localismo amorale che vive tra province, città, paesi, villaggi ricchi di storia e natura ma storpiate dalla malapolitica che tra l’altro è lo scenario ideale per la penetrazione sempre più incontenibile della criminalità organizzata, che sul litorale sta ormai toccando punte mai viste.
Da mesi emergono fatti e fatterelli che raccontano di trucchetti, di politici di terza fila arraffoni, di prebende di vario tipo, clientele, affari, poltronifici dispensatori di stipendi non si sa quanto meritati, diciamo così. I partiti sono collettori di favoritismi e occupazione di potere ovunque esso si annidi fin dentro gli angoli più bui della periferia.
Non è qualunquismo purtroppo annotare che la giunta di sinistra diretta da Nicola Zingaretti, che ha tra le sue radici il consenso di ras locali di cui lasciamo immaginare l’afflato ideale, ha cambiato ben poco mentre i presunti sanculotti a cinque stelle che puntellano la giunta uscente sono pappa e ciccia con il sottopotere.
Repubblica ieri riferiva di un ennesimo poltronificio, i cosiddetti “Egato” (Enti di governo dell’ambito territoriale ottimale), una supercazzola che nemmeno in Sudamerica, i cui presidenti percepiscono ottimi stipendi: «La corsa alla nomina dei vertici di questi enti è avvenuta negli ultimi giorni della giunta Zingaretti», scrive Stefano Cappellini sottolineando che a capo dell’Egato di Frosinone è finito il dem Mauro Buschini, il quale, già dimessosi più di un anno fa dal suo incarico di presidente del consiglio regionale per una Concorsopoli in Regione, tac, è resuscitato.
Per farla breve, politici e portaborse a fine mandato arraffano posti di sottogoverno secondo una vecchia storia che con la sinistra dovrebbe avere poco a che fare, ma tant’è.
Dopodiché per la successione a Zingaretti, diventato deputato, il Pd dopo aspre lotte interne ha infine virato su Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità che ha ottimamente figurato nella battaglia contro il Covid (a differenza di un incredibile Giulio Gallera, omologo lombardo, arrogantissimo l’altra sera a Piazzapulita) ma indicato per primo da Carlo Calenda.
Su questo nome i notabili del Pd hanno fatto buon viso a cattivo gioco mentre chi non l’ha accettato è Nicola Fratoianni che cerca nel Lazio l’accordo con i Cinquestelle, il cui capo, Conte avvocato del popolo Giuseppe, vorrebbe candidare come presidente Luisella Costamagna o nientemeno Bianca Berlinguer.
Però Fratoianni, che evidentemente dopo aver preso il taxi gentilmente offerto da Enrico Letta che lo ha aiutato per il tragitto verso Montecitorio, ha maturato l’idea non peregrina che il leader della sinistra sia proprio l’avvocato sostenitore dei condoni, pur scontando che il suo no a D’Amato si sarebbe scontrato con il sì a D’Amato di Angelo Bonelli: la spaccatura del Cocomero, come a Ferragosto sulle tavole degli italiani.
A completare il panorama desolante che va dalla Tuscia alla Ciociaria e dal Tirreno fino ai confini con l’Abruzzo, con al centro la megalopoli romana priva di una visibile guida politica e amministrativa da parte della giunta Gualtieri, c’è una destra che ancora non fa il nome del candidato o della candidata.
Non è che lì brillino queste grandi personalità, in effetti, e i big nazionali come Fabio Rampelli nicchiano. Sa di volare sulle ali di Giorgia Meloni, la destra nel Lazio, e comunque per tutto il resto ci sono Zingaretti e i suoi fratelli. Pronostico non difficile, povero Lazio.