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Rockefeller: lasciate che le banche falliscano | Piccole Note

Ruchir Sharma Tempo di lettura: 4 minuti

Non è usuale che la Grande Finanza, quella vera, si esponga. Così il recente intervento di Ruchir Sharma, presidente del Rockefeller International, sul Financial Times (ripubblicato su Zero Hedge), va letto con molta attenzione.

Lo sintetizziamo, rimandando quanti volessero alla lettura integrale, perché, appunto, di interesse capitale, parola da leggere nei diversi significati del termine.

L’era del denaro facile

“Gli ultimi decenni – scrive l’autore – caratterizzati dal denaro facile hanno creato mercati così grandi – quasi cinque volte più grandi dell’economia mondiale – e così intrecciati che il fallimento anche di una banca di medie dimensioni rischia di creare un contagio globale”.

“[…] l’era del denaro facile è stata modellata da un riflesso sempre più automatico dello Stato per salvare – cioè salvare l’economia da una crescita deludente, anche durante i momenti di ripresa, salvare non solo banche e altre società, ma anche le famiglie, le industrie, i mercati finanziari e governi stranieri che attraversano una crisi. Le ultime corse agli sportelli mostrano che l’era dei soldi facili non è finita”.

“In netto contrasto con lo stato minimalista dell’era precedente al 1929, l’America si è posta alla guida di una cultura del salvataggio, che cresce verso nuovi ed estremi massimalismi”.

“I guai di oggi sono stati paragonati alle corse agli sportelli del XIX secolo, ma a quei tempi i soccorsi erano rari. L’iniziale ostilità dell’America alla concentrazione del potere aveva prodotto un governo centrale limitato e senza una banca centrale. In assenza di un sistema finanziario, la fiducia [dei clienti] si fondava su un piano personale, non istituzionale”.

“[…] Il governo circoscritto è stato un elemento chiave della rivoluzione industriale, segnata da recessioni dolorose e riprese robuste, che si sono tradotte in una forte produttività e in una maggiore crescita del reddito pro capite. Negli anni ’60 e ’70, la resistenza ai salvataggi statali era ancora profonda, sia che a supplire fosse una grande banca, una grande società o New York City”.

I salvataggi seriali e la “destinazione errata del capitale”

“Sebbene i primi anni ’80 siano visti come un momento cruciale di un più massiccio ritiro del governo, in realtà quest’era è stata contrassegnata dall’ascesa della cultura del salvataggio, come dimostra la crisi della Continental Illinois, la prima banca statunitense ritenuta troppo grande per fallire”. Che fu salvata da un intervento statale, ricorda.

“[…] Il primo salvataggio preventivo è arrivato alla fine degli anni ’90, quando la Fed è intervenuta a sostegno di un hedge fund molto legato ai mercati esteri, per evitare la minaccia di una crisi finanziaria sistemica”.

“Questi salvataggi impallidiscono a fronte di quelli del 2008 e 2020, quando la Fed e il Tesoro hanno infranto i record precedenti per migliaia di miliardi di dollari, creati o concessi in prestiti e salvataggi in favore di migliaia di società finanziarie e altri settori, in patria e all’estero”.

“[…] I rischi non sono solo morali o speculativi, come molti insistono: sono pratici e presenti. I salvataggi hanno portato a una massiccia destinazione errata del capitale e a un aumento del numero di aziende zombi, che contribuiscono notevolmente all’indebolimento del dinamismo e della produttività delle imprese”.

“[…] Invece di ridare energia all’economia, la cultura massimalista del salvataggio sta gonfiando e quindi destabilizzando il sistema finanziario globale. Man mano che la fragilità cresce, ogni nuovo salvataggio rafforza le possibilità di una successiva crisi”.

“Nessuno che ci pensi per più di un minuto può provare nostalgia per il caos doloroso, ma produttivo, dell’era precedente il 1929. Ma troppo pochi politici riconoscono che siamo all’estremo opposto; i continui salvataggi minano il capitalismo. L’intervento del governo allevia il dolore delle crisi, ma nel tempo abbassa la produttività, la crescita economica e il tenore di vita”.

Rockefeller & Bloomberg

Così parlò Rockefeller per bocca del signor Sharma. E la sua opinione ha un peso notevole. Non ci sarebbe che da rallegrarsi che uno dei dominus della Finanza lanci l’allarme sui catastrofici rischi connessi al denaro creato dal nulla.

Ma l’omissione dell’altra faccia della medaglia dei soldi facili, cioè la Finanza virtuale speculativa, diventata anch’essa di dimensioni mostruose e che comporta rischi sistemici altrettanto elevati, lascia interdetti. Il punto è che tale Finanza, che si auto-alimenta al di fuori di ogni legge, ha nei Sharma e nei suoi simili i dominus assoluti, da cui l’interessata omissione.

Non solo, i salvataggi statali in questi anni si sono resi necessari spesso per riparare ai danni provocati dai signori di tale Finanza speculativa, usi ad addossare alle banche le proprie magagne e a rimanere indenni, anzi a lucrare sui disastri provocati.

Insomma, i protagonisti della follia finanziaria di questi ultimi anni ora intendono dare la propria ricetta per uscire dalla crisi di sistema nel quale sembra che siamo precipitati. Come mettere una volpe a guardia del pollaio.

E la ricetta è semplice: lasciare che le banche falliscano e lasciare l’ambito finanziario alla completa mercé delle sue dinamiche interne, dove tutto si riduce alla legge della giungla nella quale vince il più forte, cioè loro.

C’è un’assonanza di fondo tra quanto scrive Sharma e quel che si leggeva in un autorevole articolo di Bloomberg – che abbiamo riportato in un nota relativa al fallimento della Silicon Valley Bank – nel quale si spiegava che, per uscire dalla crisi, le banche piccole devono sparire così che a gestire il Credito siano solo una decina di grandi banche.

Non abbiamo ricette alternative, ma questa non convince affatto, anzi inquieta non poco, dato che l’auspicato fallimento di tanti Istituti di credito metterà sul lastrico tanti risparmiatori.

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