Parla il capo-missione
Umberto De Giovannangeli — 5 Gennaio 2023

“Non verremo mai meno al nostro impegno, al nostro dovere di salvare vite umane. Lo stiamo facendo da otto anni nel rispetto del diritto del mare e di quello umanitario. Non siamo noi i ‘fuorilegge’. Salvare vite umane è il nostro imperativo, ed è un obbligo sancito da tutte le convenzioni e le leggi internazionali e per questo continueremo a farlo. Evidentemente per altri non è così”. E tra questi “altri” c’è il governo italiano che ha da pochi giorni varato il decreto migranti e anti Ong.
“La strategia del governo italiano ha l’obiettivo di ostacolare l’attività di ricerca e di soccorso”. A denunciarlo è Juan Matias Gil, capo missione Geo Barents di Medici senza frontiere (Msf). La Geo Barents è la prima imbarcazione di un’organizzazione umanitaria ad aver operato un salvataggio dopo l’approvazione del cosiddetto decreto sulle Ong, che stabilisce un nuovo codice di condotta sulle attività di salvataggio in mare da parte di queste ultime: tra le regole del provvedimento c’è quella di dover chiedere subito un porto sicuro senza sostare ulteriormente in mare dopo un soccorso e di far formalizzare la richiesta di asilo da parte dei profughi già sulla nave. Pena multe fino a 50mila euro e confisca dell’imbarcazione.
“Escludiamo il sequestro della Geo Barents, non c‘è un motivo valido – dice Gil presente a Taranto per seguire le operazioni di sbarco – Noi stiamo spendendo più soldi in legali che nella ricerca e soccorso. E’ un paradosso, è ridicolo. Noi stiamo salvando vite e stiamo consultando i legali per contestare ogni misura, ogni nuova regola”.“Ci sono persone del Bangladesh, Pakistan, Palestina ed Eritrea. Le persone sono in ansia per quello che avverrà nelle prossime ore e giorni”. E aggiunge: “Sulla nave non si firmano richieste di asilo politico”.
Ieri mattina, Geo Barents ha portato a termine nel porto di Taranto la sbarco delle 85 persone salvate in mare. Lei era presente al momento dello sbarco. Cosa resta di questa esperienza?
Soddisfazione e rabbia. Soddisfazione perché siamo riusciti, tra tante difficoltà, a mettere in salvo persone che altrimenti avrebbero rischiato di morire in mare o di essere rispedite a forza nei lager libici. E rabbia, tanta rabbia. Perché dopo aver portato a termine due operazioni di salvataggio, con poche persone e con una grande capacità a bordo, siamo stati costretti a lasciare la Sar (la zona ricerca e soccorso, ndr) pur con i tanti casi aperti che c’erano.
Conseguenza del decreto Migranti appena varato dal governo italiano?
Purtroppo è così. Quel decreto c’impone di andare in un porto subito anche se ci sono allerte aperte, lasceremo un grande vuoto nella ricerca tornando in porto e delle persone potrebbero annegare o tornare in Libia. La strategia del governo italiano ha l’obiettivo di ostacolare l’attività di ricerca e di soccorso. Questo è chiaro ed è estremamente grave. Questo può generare due conseguenze: che si verifichi un incidente dove le persone annegano e muoiono. L’altra è una intercettazione delle persone che vengono respinte e riportate forzatamente in quei lager libici da dove stanno scappando. E i lager libici sono pagati con soldi dello Stato italiano, dei cittadini italiani. Lager in cui tutti gli abusi, le torture, lo scempio di diritti umani sono documentati. Se noi andiamo via dalla zona Sar, le persone che cercano di fuggire dall’inferno libico o vengono ricacciate indietro o finiscono per morire in mare.
A proposito di testimonianze drammatiche. Racconta Fulvia Conte, responsabile dei soccorsi a bordo della Geo Barents: Abbiamo a bordo con noi 85 persone di cui 41 sono state soccorse in una operazione molto difficile avvenuta l’altro ieri notte. Viaggiavano da tre giorni e durante le operazioni il barchino si è ribaltato e tutte le persone sono finite in acqua. Durante questi tre giorni di navigazione ci hanno raccontato che più volte persone sono cadute in mare e hanno usato i loro vestiti per tappare i buchi dai quali entrava l’acqua nel loro barchino. Abbiano a bordo molti minori non accompagnati, persone che vengono dalla Siria, dalla Palestina, persone che raccontano di essere state mesi in Libia, di aver subito violenze e torture. Un ragazzo ci ha raccontato di aver visto con i propri occhi persone essere uccise davanti a lui perché non avevano abbastanza soldi per pagare il viaggio. Questa è la realtà di quello che avviene in Libia, di quello che avviene nel Mediterraneo centrale in cui ogni momento è importante tra la vita e la morte”. Di fronte a questa realtà che immagine da di sé l’Europa?
Per quanto riguarda il decreto del governo italiano, a quanto mi risulta non c’è stata una presa di posizione ufficiale delle istituzioni europee. Ma di fronte ai tentativi di ostacolare la ricerca e il soccorso in mare, l’Europa non può lavarsene le mani, far finta di niente. Perché l’Europa deve assumersi le responsabilità che le competono e che riguardano il rispetto stesso dei principi e dei valori che ne sono a fondamento. L’Europa ha una responsabilità per ciò che concerne la solidarietà nella gestione dei flussi migratori e di rispetto di convenzioni e norme proprie del diritto del mare e umanitario. A venir meno a ben determinate responsabilità, per quanto riguarda il Mediterraneo, sono lo Stato di Malta e la Repubblica italiana. Questi sono i due Paesi che devono gestire questa situazione, come la Spagna gestisce la sua o come è chiamata a fare la Grecia. O gli altri Paesi alle frontiere. Non chiedo all’Italia d’intervenire nelle isole greche o ai greci d’intervenire nelle Canarie. Lo Stato italiano deve agire in questa situazione ma con lo scopo di salvare vite. Non con lo scopo di lasciare morire o di silenziare, di occultare la situazione. Perché pure se le Ong non saranno lì, le persone continueranno a partire dalla Libia.
Avvertite solidarietà e partecipazione rispetto all’impegno che voi di Msf come altre Ong impegnate nel Mediterraneo state conducendo?
Da un po’ di tempo tante persone si sono dimenticate o hanno ignorato quello che succede nel Mediterraneo e più in generale sui migranti. Abbiamo fatto tanta fatica per fare sentire la nostra voce. Oggi, per questa situazione sfortunata, abbiamo un’altra volta la possibilità di rendere visibile quello che sta succedendo. Ed è un segno confortante il fatto che molte persone ci hanno manifestato il loro supporto alla causa. Ci sono tante persone che non vogliono vederne morire altre.
Che cosa si prova, anche dal punto di vista personale, quando voi riuscite a trarre in salvo persone che fuggono da guerre, pulizie etniche, disastri ambientali, povertà assoluta e sfruttamento disumano?
All’inizio si prova un grande sollievo, perché dopo un momento di tensione nel fare un’operazione rischiosa e molto delicata, perché si sta gestendo una situazione di vita o morte, e qualsiasi cosa che vada storta può produrre una tragedia. Sollievo che le cose siano andate bene, che le persone abbiano trovato un luogo nel quale le si tratta con umanità e dignità. Ma dopo il sollievo, subentra la vergogna. Una grande vergogna. Perché tanti anni dopo aver coperto questi vuoti, questa irrisolta emergenza umanitaria, gli ostacoli non solo non sono stati rimossi ma al contrario sono aumentati. Le politiche che vengono portate avanti sono sempre più contrarie agli interessi delle persone e al diritto alla vita. Vergogna, indignazione, rabbia ma anche una grande motivazione per continuare a lottare per salvare la vita di tante persone.
Si può dire che la vostra prima “legge” è quella di salvare vite umane e che non vi possono essere decreti che cancellino questo obbligo morale?
Assolutamente sì. Noi continuiamo a chiedere che l’Europa, i singoli Stati approntino un meccanismo che serva a sostituirci ma con lo scopo di salvare vite. Con decreti che minimizzano la nostra presenza, l’impatto che possiamo avere in mare, senza nessun’altro meccanismo che sostituisce la nostra azione, evidentemente l’obiettivo che ci si prefigge non è quello di mettere al primo posto la vita delle persone.
Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.
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