Il bunet, o bonet, è una sorta di budino che oggi è impossibile non trovare nel fine pasto domenicale di ogni piemontese o nei menù di ristoranti a cucina tipica regionale, ma la storia di questo dolce ha origini antichissime: i primi accenni al bonet risalgono al XIII secolo quando si gustava a conclusione di sontuosi banchetti medievali.
La sua ricetta ha subito nel corso del tempo diverse variazioni prima di acquisire la connotazione attuale e, ancora oggi, ogni famiglia apporta piccole modifiche nella sua preparazione rendendolo più vicino ai gusti personali: alcuni, infatti, aromatizzano il latte con lo zest di limone o con l’estratto di vaniglia, e spesso si aggiungono all’impasto anche le nocciole, in particolare la Tonda Gentile delle Langhe.
Il primo bonet era in versione bianca essendo composto solo da latte, zucchero, amaretti e uova, e veniva chiamato ‘alla monferrina’. Era infatti cronologicamente ben lontana la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, che diede il via alla diffusione delle fave di cacao nel nostro Continente. L’aggiunta del cioccolato alla ricetta originale si ebbe solo a partire dagli inizi dell’Ottocento, quando venne annoverato nell’anonimo ricettario sud-piemontese intitolato “Polizia e cucina”.
In tale versione esso era cotto in casseruola fino all’addensarsi del composto e solo più tardi, nel 1846, Francesco Chapussot, chef dell’ambasciatore inglese a Torino, rese il procedimento più raffinato prevedendone la cottura a bagnomaria, e suggerì di “allegrarla” con l’aggiunta di caffè ed anche di liquore. Nel 1854 Giovanni Vialardi, capocuoco e capo pasticcere della corte di Torino, ideò una variante alle nocciole della “Crema rappresa al bagno di Maria al cioccolato”, la sua personale definizione del bonet.
Solo verso la fine dell’ottocento si giunse alla versione attuale di questo dolce tipico piemontese, che prevede, come liquore, il rum. Vi sono diverse varianti anche nell’alcolico utilizzato, il cognac o, più anticamente, il Fernet, perché favorisce la digestione.
Riguardo le origini del nome vi sono due teorie: la prima fa riferimento allo stampo in rame a forma di tronco di cono nel quale viene cotto il bonet, che ricorda un cappello o berretto tondeggiante. Tale stampo, infatti, si chiama ‘bonet ed cusina’, cioè proprio ‘cappello da cucina’ o ‘berretto del cuoco’. La seconda invece si riferisce al fatto che esso viene servito a fine pasto, vi fa da cappello, ed anche al fatto che, quest’ultimo, solitamente, è l’ultimo indumento indossato prima di uscire.
Attualmente il bunet (o bonet) s’è guadagnato il marchio di qualità Pat (Prodotto agroalimentare tradizionale) e continua ad essere un dessert principe della cucina tradizionale piemontese.