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Gli Stati Uniti continueranno a sostenere la guerra in Yemen iniziata nel 2015, quando Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti invasero il piccolo Paese del Golfo, uno dei più poveri del mondo, dove una ribellione aveva posto fine al dispotico regime del burattino di Riad Mansur Hadi.
La promessa a vuoto di Biden
La guerra ha provocato una delle più gravi crisi umanitarie del mondo, come hanno dichiarato le Nazioni Unite e l’Unicef nei ripetuti appelli che hanno accompagnato questa guerra, puntualmente ignorati dai media internazionali perché le bombe che cadevano sui civili non erano russe, ma americane.
All’inizio del suo mandato, Biden aveva dichiarato che avrebbe posto fine all’impegno Usa in Yemen, ma finora non se n’è fatto nulla. La pietra d’inciampo di questa vicenda, al di là della propaganda, sono i rapporti dei ribelli houti con Teheran, che fa di questo conflitto una guerra per procura contro l’Iran.
La guerra in Yemen, infatti, è una sorta di guerra ucraina in salsa mediorientale su scala ridotta. I falchi anti-Teheran che allignano a Washington la sostengono strenuamente perché è un modo per erodere le risorse di Teheran, che sostiene i ribelli di religione sciita, credo che ha in Teheran il suo faro.
Ma soprattutto per negare all’Iran una vittoria sul campo, dal momento che così sarebbe interpretata una risoluzione del conflitto che non veda la secca sconfitta degli houti (come è inaccettabile una vittoria di Putin in Ucraina).
Così hanno spinto l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi in questa guerra, assicurando loro che il sostegno americano, di armi e di intelligence (anche qui si possono vedere i paralleli con quanto avviene a Kiev) avrebbero assicurato una pronta vittoria agli invasori.
Non è andata così e i Paesi del Golfo hanno iniziato a ripensare il loro coinvolgimento in questa tragica avventura. Un vacillare che negli ultimi tempi, grazie al cauto quanto tacito ripristino dei rapporti con Teheran (Reuters) – coinciso con l’allentamento dei vincoli che legavano a doppio filo i Paesi del Golfo agli Usa – hanno creato le basi per un cessate il fuoco di sei mesi.
La risoluzione per chiudere la catastrofe umanitaria
La tregua, però, è scaduta all’inizio di ottobre (anche se le ostilità non sono ancora riprese) e alcuni esponenti del Congresso americano, guidati da Bernie Sanders, avevano immaginato che fosse giunto il momento di porre fine all’ennesima guerra infinita degli Stati Uniti.
Così Sanders e i suoi hanno preparato una risoluzione da portare all’attenzione del Congresso degli Stati Uniti, nella quale si chiedeva la fine dell’impegno Usa in Yemen. Una risoluzione che aveva attratto l’adesione “di un gruppo bipartisan di oltre 100 esponenti del Congresso alla Camera”.
“Dobbiamo porre fine al coinvolgimento non autorizzato e incostituzionale delle forze armate statunitensi nella catastrofica guerra guidata dai sauditi nello Yemen – ha dichiarato Sanders – e il Congresso deve riprendere la sua autorità sulla guerra. Più di 85.000 bambini nello Yemen sono già morti di fame e altri milioni stanno affrontando carestie e morte imminenti”.
“Più del 70% della popolazione dello Yemen fa attualmente affidamento sull’assistenza alimentare umanitaria e le Nazioni Unite hanno avvertito che il bilancio delle vittime potrebbe salire a 1,3 milioni di persone entro il 2030. Questa guerra ha creato oggi la peggiore crisi umanitaria del mondo ed è giunto il momento di porre fine alla complicità degli Stati Uniti a questi orrori. Votiamo a favore di questa risoluzione, così possiamo concentrarci sulla diplomazia per porre fine alla guerra”.
“Milioni di yemeniti innocenti hanno sopportato sofferenze indicibili e sono preda di una catastrofe umanitaria dall’inizio della guerra civile yemenita”, ha affermato la senatrice Elizabeth Warren. “Il popolo americano, attraverso i suoi rappresentanti eletti al Congresso, non ha mai autorizzato il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra, ma ha abdicato ai suoi poteri costituzionali e non è riuscito a impedire al nostro Paese di coinvolgersi in questa crisi”.
Contrordine, compagno Sanders
Ma l’amministrazione Biden ha fatto pressione sul Congresso perché la risoluzione non fosse votata, minacciando anche di utilizzare il potere di veto che la Costituzione accorda al presidente.
Così Sanders ha fatto retromarcia, affermando che dalla Casa Bianca gli avevano spiegato che l’eventuale voto a favore di tale risoluzione avrebbe impedito la pace, che pure il presidente vorrebbe, aggiungendo che non vedeva l’ora di lavorare con questi su tale prospettiva.
Una giustificazione alquanto surreale, perché non si vede come una risoluzione che impone la pace sia dannosa alla stessa. Nel caso specifico si è ripetuto quanto accaduto per la guerra ucraina, altro tragico parallelo, quando l’ala progressista del partito democratico inviò una lettera a Biden sollecitandolo a imboccare la via della diplomazia, missiva sconfessata dagli stessi autori solo 24 ore dopo la sua pubblicizzazione.
Si può notare, ovviamente, che se gli Stati Uniti si sfilassero dalla guerra, Arabia Saudita ed Emirati firmerebbero subito la pace, non potendo sostenere lo sforzo bellico. Infatti, come scrive Forbes: gli Stati Uniti “hanno fornito decine di miliardi di dollari in bombe, missili, aerei da combattimento ed elicotteri d’attacco all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti (UAE), armamenti che sono stati la spina dorsale dello sforzo bellico saudita/UAE”. Oltre, ovviamente all’intellignce su obiettivi e altro (Reuters).
Secondo una stima delle Nazioni Unite alla fine del 2021 la guerra avrebbe causato la morte di 377.000 persone, tra vittime dirette e indirette (cioè morte di fame, malattie e stenti). “Più di 11.000 bambini sono stati uccisi o mutilati a causa del conflitto in Yemen, secondo l’UNICEF – una media di quattro al giorno“.
Tale la brutalità dispiegata in Yemen, guerra che ha una copertura mediatica infima rispetto a quella ucraina per ovvie ragioni. Tale la tragica ipocrisia di quanti si ergono a campioni della libertà e dei diritti umani, in Ucraina e nel mondo.