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25 obiettivi in 26 giorni | Amendola spiega che se il Pnrr è in ritardo la colpa non è del governo Draghi – Linkiesta.it

«Noi sappiamo benissimo che il Pnrr è l’unico vero e decisivo strumento di sviluppo e crescita per il Paese, e quindi non lavoreremo mai per opporci pregiudizialmente o ostacolarne il cammino. Ma non accettiamo l’accusa di aver accumulato ritardi: abbiamo fatto tutto quanto era dovuto, e anche di più». Vincenzo Amendola, oggi deputato Pd, è stato – nelle vesti di ministro agli Affari europei nel Conte due e sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Draghi – un punto di riferimento per il Piano nazionale di ripresa e resilienza fin dal suo avvio. Conosce alla lettera i meccanismi per far funzionare l’arrivo in Italia dei fondi europei del Next Generation Eu. E a Repubblica dice: «Avevamo messo a punto una macchina oliata e funzionante per gestire un’operazione così complessa. Ci aspettiamo che il nuovo governo faccia altrettanto».

L’Italia, ora, ha a disposizione solo 26 giorni per centrare i 25 obiettivi previsti entro fine anno e ricevere la terza rata da 19 miliardi. Per Amendola, le colpe dei ritardi però non vanno ricercate nell’esecutivo precedente come tenta di fare Meloni. «Il passaggio della campanella da Draghi a Meloni è del 22 ottobre», dice. «A quel punto erano stati conseguiti 25 obiettivi su 55. Per comparazione, il 20 aprile 2022, quando mancavano gli stessi 70 giorni alla scadenza di fine giugno, gli obiettivi raggiunti erano nove su 45. All’inizio di giugno, un momento paragonabile a oggi cioè a circa un mese dalla rendicontazione, ne erano stati raggiunti 25. È naturale che in un programma a scadenze ravvicinate e incalzanti come il Pnrr gli obiettivi vengano raggiunti verso la fine del periodo, è insito nel concetto stesso di stato di avanzamento. Con volontà e determinazione è assolutamente possibile farcela. Non capisco questo mettere le mani avanti, come a dire: se non ce la facciamo non è colpa nostra. L’allarme è ingiustificato a meno che non si sentano in difficoltà per loro motivi organizzativi».

Le ragioni potrebbero essere diverse, spiega l’ex ministro: «Sulla governance hanno cambiato così tanto che qualche paura ce l’avrei anch’io. Ho tutta la stima per il ministro Fitto che dovrebbe essere il perno dell’attuazione. Ma ci chiediamo qual è il ruolo del Mef e della Ragioneria, che erano l’architrave su cui poggiava tutto e agivano in filo diretto con Palazzo Chigi, com’è logico per una misura da 200 miliardi più 100 di fondi ordinari».

Amendola dice che «sulle riforme abbiamo spianato il cammino il più possibile. Perfino sulla più complessa e divisiva, la giustizia, siamo riusciti a far approvare una legge delega che si allargava a tutti i comparti e attendeva i decreti d’attuazione. Come primo atto del governo Meloni, che se ne è assunto la responsabilità, quella penale è stata rinviata. Ora dovrebbero provvedere, o se hanno cambiato idea vengano in aula a spiegarlo».

E sulla concorrenza, altro punto su cui Bruxelles è sensibilissima: «Nel consiglio dei ministri del 16 settembre, l’ultimo nella pienezza dei poteri, abbiamo approvato due decreti legislativi (servizi pubblici locali e mappatura concessioni pubbliche) attuando la legge delega approvata ad agosto, che contiene gli elementi per risolvere la vexatissima quaestio dei balneari. Nessun ritardo».

Restano gli investimenti, con due problemi: i costi lievitati per l’inflazione e l’incapacità progettuale degli enti locali. «Per i sovracosti abbiamo approvato una disposizione da 7 miliardi. È un tema sentito in tutta Europa ed è lì che si deve raggiungere un accordo», dice Amendola. «Altro è intraprendere modifiche più profonde e in quel caso il governo se ne assuma i rischi politici. Sul rafforzamento della progettualità, si è avviato un ambizioso piano di assunzioni, affiancando le amministrazioni locali. La prima task-force da 1.000 persone è stata ingaggiata, ma siamo a un’emergenza: la fragilità delle piante organiche della pubblica amministrazione è esplosiva soprattutto al Sud, ma su questo non ho letto niente in legge di bilancio».

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