Il 9 gennaio, nel primo lunedì post festivo, hanno fatto visita a Roma la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohe. La doppia visita, come scrive Federico Fubini sul Corriere, fa intravedere la portata della stagione di scelte che segneranno a fondo il cammino del governo italiano.
Davanti a tutte ci sono le decisioni da prendere sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, naturalmente. Passata la boa delle 55 riforme portate a termine entro dicembre per poter chiedere una nuova erogazione da 19 miliardi di euro, adesso il governo è a un bivio. La premier Giorgia Meloni in campagna elettorale aveva sempre detto di voler rivedere il Pnrr e adesso se ne presenta l’occasione. La guerra e la crisi dell’energia hanno cambiato il quadro. L’intesa di Palazzo con Von der Leyen, per ora vaga e di principio, è che nel nuovo Pnrr l’Italia integri elementi di RePowerEu, ovvero le misure e politiche volte ad accelerare l’autonomia energetica.
Dai prossimi giorni Raffaele Fitto, il ministro degli Affari europei con delega al Pnrr, inizierà a incontrare i vertici e i tecnici delle grandi imprese di Stato dell’energia (Eni, Enel, Snam, Terna) per sondare quali siano i loro progetti e capire se sia il caso di integrarli nel Piano nazionale. Il ministro dell’Energia algerino, Mohamed Arkab, è tornato a caldeggiare di un gasdotto Algeria-Sardegna-Piombino. In Italia quel progetto non convince. Sembra invece più importante il raddoppio del Tap, il gasdotto che dall’Azerbaigian porta in Puglia tramite Turchia, Bulgaria, Grecia e Albania. Questo mese finisce il «market test», la consultazione con i grandi intermediari di gas per capire se c’è interesse al raddoppio (a 20 miliardi di metri cubi l’anno) sui prossimi decenni. Ma nei tratti europei i lavori non sarebbero molti: per l’Italia 25 chilometri in mare e otto a terra, per spese contenute al massimo in quattro miliardi – forse molto meno – e già finanziate in parte da fondi europei in quanto «progetti d’interesse comune». Qualcosa di simile vale anche per il gasdotto della Linea adriatica, da Massafra in Puglia verso Nord. Anche quello è un «progetto d’interesse comune» di Bruxelles, anche quello è già finanziato per metà a fondo perduto con risorse europee fuori dal Pnrr. Stessa storia con Elmed, il cavo di trasmissione dell’elettricità dai campi fotovoltaici della Tunisia fino in Sicilia (ci lavora Terna). Anche quello è «d’interesse comune» e già co-finanziato da Bruxelles. Resterebbe certo da costruire il rigassificatore già autorizzato all’Enel a Porto Empedocle, ma non necessariamente il tubo sottomarino del gas dalla Spagna a Livorno perché in queste settimane c’è stata un’improvvisa presa d’atto: con i nuovi accordi algerini, i nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna e il raddoppio del Tap, l’Italia sanerà presto i danni della rottura con Mosca.
Ma bisogna fare in fretta, perché tutti i progetti devono essere pronti nei dettagli entro fine marzo in modo che possano passare ai vagli di Bruxelles. E bisogna fare con attenzione, perché quei nuovi fondi andrebbero dritti nel debito pubblico quindi a qualche altra promessa il governo dovrà pur rinunciare.
Di bilancio pubblico ha parlato Paschal Donohoe con Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia. Il presidente dell’Eurogruppo ha iniziato da Roma il suo giro delle capitali per sentire le posizioni di ciascuno sulle nuove ipotesi di regole di bilancio. La proposta della Commissione ha aspetti che possono aiutare l’Italia: un passo più lento nel calo del debito, fino a sette anni per il risanamento strutturale del deficit se intanto si fanno riforme vere. Giorgetti però ha fatto presente anche ciò che all’Italia non piace che al centro dei piani di risanamento ci sia un’«analisi di sostenibilità del debito» fatta con criteri poco chiari. Sarà un nervo scoperto. Come scoperto è il nervo dell’onda di piena di aiuti di Stato all’industria che Bruxelles sta per autorizzare in risposto ai sussidi della Casa Bianca, ma che favoriranno soprattutto chi può permetterseli, in primis la Germania. Con l’industria italiana che rischia dunque di perdere competitività.
E poi c’è la ratifica della riforma del fondo salvataggi (Mes). L’Italia è l’ultima all’appello e Giorgia Meloni ha lasciato intendere con sempre minore vaghezza che non si può paralizzare il processo. Dopo l’incontro con Giorgetti, Paschal Donohoe ha detto: «Sono convinto che riusciremo a compiere progressi nella ratifica e nell’attuazione del trattato Meccanismo europeo di stabilità». Le parole di Donohoe hanno un peso perché arrivano dopo un incontro con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Meloni alla fine del 2022 ha chiesto un incontro con il direttore del Mes per negoziare delle modifiche, che però rischiano di arrivare fuori tempo massimo.