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Non ci si fa più troppo caso ai santi e perfino quelli importanti sfuggono alla fretta della modernità. Un tempo in campagna non andava affatto così e di Sant’Antonio ci si ricordava eccome.

D’altronde cadeva in un periodo tranquillo per i lavori agricoli, di solito i campi erano coperti di neve – oggi non succede quasi mai – e in moltissime località il santo eremita, fondatore del monacheismo cristiano, veniva celebrato con funzioni, processioni e con la distribuzione del “pane di Sant’Antonio”, del quale ogni membro della famiglia consumava un pezzetto, dopo aver fatto il segno della croce. Anche i cani ne ricevevano un boccone, mentre i gatti ne erano esclusi, essendo considerati animali del demonio.

Pochi conoscevano la vita di questo eremita egiziano, vissuto fra il 250 e il 356, raccontata per primo da Sant’Anatasio, patriarca di Alessandria. Ma poco importava.

Quel che contava era tenerselo buono, e nel giorno della sua festa, ipotetica data della morte nel deserto, si benedivano buoi, cavalli, mucche, ma anche galline, oche e conigli. Con l’avvento della tecnologia i sacerdoti presero a benedire anche trattori e macchinari agricoli, cosa che in molte località cuneesi avviene ancora.

Nel Piemonte contadino l’iconografia del santo lo raffigura con una lunga barba bianca, vestito di saio monastico, con un grande cappuccio, che a volte gli copre anche il capo. Immancabile il lungo bastone da eremita a forma di Tau, dal quale pende una campanella. Ai suoi piedi viene sempre raffigurato un maialino, in certi casi accompagnato da altri animali domestici.

La figura del maiale sembra derivi da alcuni paesi germanici dove i contadini allevavano un porco da donare all’ospedale dove operavano i monaci antoniani. Un altro simbolo ricorrente è il fuoco, poiché il santo veniva invocato da chi veniva colpito dall’herpes zoster, più comunemente detto “Fuoco di Sant’Antonio”.

Nel cuneese uno dei luoghi dove si celebra maggiormente Sant’Antonio è l’Abbazia di Staffarda, ma non c’è quasi comune che non abbia una chiesa, una cappella o un pilone a lui dedicato.

Anche perché è considerato santo patrono non solo del bestiame, ma di allevatori, fabbricanti di spazzole – una volta venivano realizzate con le setole dei maiali – di salumieri, macellai, droghieri, commercianti di tessuti e anche di altre categorie di lavoratori a seconda dei territori.

Per i nostri contadini cuneesi Sant’Antonio era in competizione con San Magno, considerato patrono della vita agreste e con San Grato, utile in caso di grandine.

Non confondiamolo con Sant’Antonio da Padova, che era portoghese ed è quello che ci fa trovare le cose perdute. Tempi diversi, dove la vita in generale aveva altri ritmi e quella nelle campagne seguiva quelli delle stagioni, delle quali oggi non si capisce più nulla.

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