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Cavallo di Troia | TikTok è un pericolo per la sicurezza nazionale dei Paesi occidentali? – Linkiesta.it

C’è una cosa che un colosso cinese già accusato di spionaggio e di trattamento non ineccepibile dei dati altrui, per giunta sotto osservazione da parte degli Stati Uniti e Unione europea, non dovrebbe fare, ed è spiare dei giornalisti. Secondo quanto riportato da Forbes poco prima di Natale, è proprio quello che TikTok avrebbe fatto, mettendo sotto sorveglianza Emily Baker-White, Katharine Schwab e Richard Nieva. La notizia ha scosso il settore tecnologico ma, vista la rilevanza di TikTok, anche quello politico, complicando ulteriormente la situazione del social network di proprietà di ByteDance, società cinese.

Pochi giorni prima della rivelazione, il magazine del New York Times aveva dedicato la copertina a TikTok, o meglio, al rischio che l’azienda corre nel corso del nuovo anno, visto che il Congresso statunitense, da anni cronicamente poco disposto a intervenire nel settore Big Tech, sembra ormai deciso a fare sul serio. Almeno con ByteDance.

Quanto sul serio? Abbastanza da aver unito – per un instante registrabile solo da apparecchi molto avanzati, ma è successo – democratici e repubblicani, che si ritrovano piuttosto d’accordo sull’esigenza di fare qualcosa su TikTok. Si è arrivati così all’incredibile: un senatore democratico ha ammesso, pur con mille cautele, che forse (forse, eh) Trump non aveva tutti i torti quando provò a vietare TikTok negli Stati Uniti.

È successo lo scorso novembre, quando Mark Warner ha puntato soprattutto sul pericolo che l’applicazione rappresenterebbe per i più piccoli. L’anno nuovo è anche iniziato con una nuova legge che vieta di installare TikTok negli apparecchi governativi statunitensi, una scelta che alcuni osservatori hanno definito un tiepido compromesso che «non farà nulla per proteggere gli interessi di sicurezza nazionale». Ciò nonostante, non sembra essere un segnale di pace.

Le cose non vanno meglio nell’altra sponda dell’Atlantico, dove l’Unione europea è da ormai anni la potenza più attenta e severa nella regulation dei giganti digitali (pochi giorni fa ha multato Meta per trecentonovanta milioni di euro). Per questo, lo scorso martedì, l’amministratore delegato di TikTok Shou Zi Chew, è volato a Bruxelles per incontrare la politica danese Margrethe Vestager, Commissaria europea alla concorrenza.

Ce n’è bisogno, di visite del genere, visto che, solo negli ultimi mesi, il presidente francese Emmanuel Macron ha attaccato l’app direttamente, definendola «ingannevolmente innocente» e una fonte di «vera dipendenza». Le accuse si inseriscono in un contesto politico delicato, nel quale il social cinese è interessato da due indagini e dovrà agire in fretta per adeguarsi alle nuove regole europee previste dal Digital Services Act, un severo pacchetto da poco approvato dall’Unione europea.

Come scrive Politico, TikTok è accusata di aver già violato la privacy dei suoi utenti tutelata dal Gdpr (la General Data Protection Regulation, norma europea per la sicurezza dei dati online: quella dei cookies nei siti internet, per dire), le cui multe potrebbero «arrivare fino al quattro per cento del fatturato globale dell’azienda». È solo l’inizio: quelle previste dal Digital Services Act, che entrerà in vigore a metà del 2023, sono ancora più alte.

È la tempesta perfetta, in cui un certo sospetto nei confronti dei rapporti tra ByteDance e il governo di Pechino si fonde con la necessità di proteggere gli utenti e certi interessi industriali. TikTok, infatti, ha enorme successo, tanto da influenzare la concorrenza statunitense, che si è adattata più o meno goffamente al nuovo corso, proponendo Reels, Shorts e altri formati di video verticali e brevi. Il social cinese è stato forse il principale agente di cambiamento per la Silicon Valley nell’ultimo anno.

Inchieste come quelle condotte dal sito BuzzFeed News hanno dimostrato che il quartiere generale cinese di TikTok, nonostante le rassicurazioni dei loro vertici, ha ancora accesso diretto ai dati degli utenti statunitensi ed europei. In uno scenario geopolitico instabile, l’ascesa strepitosa del social ha accesso anche i timori che un servizio tanto divertente e irresistibile possa essere un cavallo di Troia di Pechino – «per l’influenza cinese, per lo spionaggio o forse per entrambi», come scrive il New York Times.

Il quotidiano nota anche che lo stesso social «sia un prodotto dell’Occidente quanto lo è della Cina», raccontando come ByteDance sia nata dalla fusione di idee, risorse umane e capitali che molto hanno goduto dalle relazioni tra Stati Uniti e Cina negli ultimi cinquant’anni. «Gli Usa hanno cercato di corteggiare la Cina con il fascino del loro modello e i benefici dell’ordine internazionale esistente, nella speranza che un’economia di mercato liberalizzata portasse anche a riforme politiche interne. Non è successo, ovviamente, ma il settore tech cinese ha comunque imparato la lezione da quello statunitense. E anche piuttosto bene. Forse – è questo il timore crescente in Occidente – pure troppo.

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