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Cosa sta facendo Eni sulla fusione nucleare

Anche Eni ha investito grosse somme nella fusione nucleare: Commonwealth Fusion Systems, di cui è azionista, punta a costruire un impianto commerciale già negli anni 2030

Negli Stati Uniti, il laboratorio Lawrence Livermore ha completato con successo il primo esperimento di fusione nucleare con guadagno energetico netto: la reazione, cioè, ha prodotto più energia (il 120 per cento in più) di quella consumata dai macchinari che la innescano.

UN TRAGUARDO IMPORTANTE, MA…

È un traguardo che gli scienziati non avevano mai raggiunto prima, e che rende un po’ più concrete le possibilità di utilizzo della fusione nucleare: si tratta del processo che alimenta le stelle come il Sole, e che consente di ottenere elettricità priva di CO2 e in maniera continuativa; a differenza della fissione (la reazione che si svolge nei reattori delle centrali tradizionali), poi, la fusione non produce scorie altrettanto radioattive.

Nonostante il risultato del laboratorio americano, però, le tecnologie di fusione nucleare si trovano ancora in uno stato sperimentale, e probabilmente impiegheranno decenni prima di affermarsi sul piano commerciale.

L’INTERESSE DEGLI INVESTITORI

Le grandi potenzialità della fusione hanno tuttavia catturato l’attenzione sia dei governi che dei privati (come Jeff Bezos, Bill Gates e Google): le aziende che si occupano di questa reazione hanno ricevuto investimenti per quasi 4,9 miliardi di dollari. Non sono solo le startup a tentare la strada della fusione, peraltro, ma anche grandi e strutturate società delle energie fossili come la statunitense Chevron e l’italiana Eni.

CONFINAMENTO INERZIALE E MAGNETICO

Eni partecipa allo sviluppo di diversi progetti per la ricerca sulla fusione nucleare a confinamento magnetico. Si tratta di un processo diverso da quello seguito dal laboratorio Lawrence Livermore, chiamato di confinamento inerziale.

Come spiega sul Foglio Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione Italiana Nucleare, la fusione a confinamento inerziale prevede l’utilizzo di “potenti fasci laser [che] comprimono un guscio millimetrico di deuterio e trizio, isotopi dell’idrogeno, determinando uno stato di plasma di questi due nuclei atomici che, per pressione, si fondano tra loro rilasciando un grande ammontare di energia termica”, da convertire in energia elettrica.

– Leggi anche: National Ignition Facility, tutto sul laboratorio Usa per la fusione nucleare finanziato dal governo americano

La fusione a confinamento magnetico, invece, impiega dei potenti magneti per creare un campo magnetico che contenga il plasma. Il confinamento magnetico è condotto con un Tokamak, un macchinario di forma toroidale al cui interno si produce il vuoto e il campo magnetico per l’isolamento del plasma.

I PROGETTI DI ENI SULLA FUSIONE NUCLEARE

Eni partecipa a quattro progetti sulla fusione nucleare tramite confinamento magnetico, sia in Italia che all’estero: quelli della società Commonwealth Fusion Systems e del Plasma Science and Fusion Center del MIT, entrambi negli Stati Uniti; quello di ENEA a Frascati (il Divertor Tokamak Test); quello del CNR “Ettore Maiorana” di Gela.

Nel 2018 Eni è diventata la maggiore azionista di Commonwealth Fusion Systems, e circa un anno fa disse di aver preso parte a nuovo giro di finanziamento della società da 1,8 miliardi di dollari. La cifra servirà a realizzare un reattore pilota per la produzione netta di energia dalla fusione nucleare: dovrebbe venire costruito entro il 2025, mentre per l’inizio degli anni 2030 dovrebbe entrare in funzione un impianto commerciale in grado di fornire elettricità alla rete.

Verrà costruito negli Stati Uniti, a Boston, per un costo stimato sui 3 miliardi di dollari.

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