18 Gen 2023 9:43 – di Federica Argento
Rincuora leggere i giudizi super partes sulla stampa estera riguardo la politica italiana e il governo a guida Meloni. Termini come “la virtù della coerenza”, “popolare”, “competente” riferiti al premier costituiscono uno spicchio di onestà intellettuale. E di sorpresa, se li rapportiamo al dibattito avvelenato nostrano. Li troviamo nella penna di Erik Jones, direttore del Centro Robert Schuman e professore di studi europei alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins. Precisamente nell’ultimo numero del Journal of Democracy: la prestigiosa rivista internazionale della Johns Hopkins. Il tutto mentre in Italia il dibattito pubblico è tutto un insulto a reti unificate sui giornaloni: persino la cattura di Matteo Messina Denaro diventa uno strumento divisivo nella mani della sinistra rosicona. Persino di Dante Alighieri un ministro non può parlare senza essere “scorticato vivo” dai Montanari vari e tuttologi improvvisatisi dantisti. Solo l’intellighenzia di sinistra – o quel che rimane di essa- ha la presunzione di poter parlare di tutto e far partire l’applauso. All’estero esistono ancora riviste e politologi che hanno voglia di parlare di governi, leader, partiti e istituzioni da osservatori e non da tifosi interessati. Senza pregiudizi o secondi fini.
L’elogio della Meloni sul “Journal of Democracy”
Così, il politologo Erik Jones, sul Journal of Democracy, può permettersi la libertà di pubblicare uno studio intitolato «Le dure verità dell’Italia», incentrato su quello che descrive come il governo «più di destra della storia italiana sin dal dopoguerra». Si tratta – scrive – di un governo di una coalizione «familiare»; nel senso che i tre partiti che la compongono sono gli stessi che hanno governato una volta negli anni ’90 e due volte in questo secolo. Con l’unica differenza che quello più a destra, Fratelli d’Italia, è oggi al comando, mentre Fi e Lega sono «cambiati per effetto dell’ingegneria socio-elettorale avviata nei primi anni ’90; e che ha diviso gli italiani in sinistra e destra». Una divisione – osserva Jones – cui la «destra si è adattata, la sinistra no».
Meloni “competente”. “La virtù della coerenza”
All’estero sono pragmatici. E proprio dalla coerenza deriva l’”attrazione” degli italiani per il premier, scrive l’analista, le cui posizioni sono rilanciate su Libero oggi in edicola. Melono, oltre ad essere stata «la principale voce di opposizione alla coalizione nazional-unitaria di Draghi, era anche l’unica voce che ha potuto celebrare la fine di quel governo senza essere accusata di averla causata». Ne è derivata la sua «vittoria decisiva» che ha determinato per l’Italia «un salto in avanti nell’uguaglianza di genere». Ma c’è di più. Jones definisce l’esecutivo «ragionevole, accomodante e destinato a rimanere in carica più a lungo dei suoi predecessori». Viene meno in questa analisi anche il complesso “draghiano” che i più qui da noi hanno tentato di infliggere a un’intera nuova classe politica. Infatti nell’analizzare i governi precedenti, non li trova affatto superiori a quello guidato dalla Meloni, «almeno in termini di potenziale democratico e ideali liberali». Un riconoscimento da incorniciare.
“Conte, un avvocato strappato all’oscurità dal M5s”
“Migliori” addio. Guardando al passato l’articolo non elogia affatto i governi tecnici che si sono succeduti. Vengono definiti instabili e impopolari: frutto di «matrimoni di convenienza» – si legge- tra partiti elettoralmente «poco attraenti« e scarsamente rappresentativi. Significativo quel che il politologo scrive del governo Conte: esecutivo guidato da «un avvocato strappato all’oscurità dal M5S per farne un primo ministro di facciata». Di cui molti, però, hanno «sottovalutato la bramosia di potere». Per il professore della Johns Hopkins, insomma, il governo Meloni è «popolare e competente». Con buona pace delle sinistre e delle opposizioni in cerca d’autore.