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Inchiesta su Fidanza, per i Pm gli insulti nelle intercettazioni diventano indizi – Il Riformista

La riforma sulle intercettazioni

Tiziana Maiolo — 24 Gennaio 2023

Inchiesta su Fidanza, per i Pm gli insulti nelle intercettazioni diventano indizi

Quando giovedì scorso alla Camera il deputato Federico Cafiero de Raho ha indossato la toga da procuratore, poi gli ha puntato il dito contro e lo ha sfidato a menzionare casi di violazioni della legge sulle intercettazioni successive alla riforma del 2020, il ministro Nordio ha risposto citando l’ultimo caso conosciuto. E cioè quello del “suo amato Veneto”, con la diffusione di telefonate che riguardavano il Presidente della Regione Luca Zaia, assolutamente estraneo a qualunque indagine penale. Ma il guardasigilli non poteva sapere che, nelle stesse ore, accadevano, quanto meno nelle redazioni di due quotidiani, La Repubblica e Domani, alcuni fattacci che sarebbero stati degni della sua attenzione e magari anche di qualche suo intervento. E che trovavano puntuale pubblicazione sui due quotidiani del giorno successivo, il 20 gennaio.

Era accaduto che nei giorni precedenti la procura della repubblica di Milano avesse depositato, a disposizione delle parti, gli atti di conclusione di un’inchiesta che riguarda alcuni esponenti lombardi di Fratelli d’Italia, l’europarlamentare Carlo Fidanza, il neodeputato Giangiacomo Collavini, l’ex vicecoordinatore del partito Giuseppe Romele e un ex consigliere comunale di Brescia, il medico calabrese Giovanni Francesco Acri. I primi tre si sarebbero adoperati, dopo le ultime elezioni comunali, per fare dimettere il medico, unico eletto di Fratelli d’Italia in consiglio, e far subentrare il primo degli esclusi, cioè lo stesso Collavini, intenzionato a sfruttare il ruolo di amministratore locale come rampa di lancio verso il Parlamento. Operazione riuscita. Ma l’accordo avrebbe comportato un “prezzo”, secondo la Procura, l’assunzione a tempo determinato e per poche centinaia di euro del figlio di Acri come collaboratore di Fidanza. Questo “prezzo” viene considerato corruzione, per cui la Procura, nel depositare gli atti, si accinge a chiedere il rinvio a giudizio di tutti i protagonisti.

Ora, mentre leggiamo che i cronisti dei due quotidiani scrivono tranquillamente di aver “spulciato” le carte dell’inchiesta, un primo chiarimento va dato. Deposito “a disposizione delle parti” non vuol assolutamente dire “pubblico”. Nessuna legge autorizza i pubblici ufficiali a distribuire atti giudiziari con l’alibi che le carte siano ormai in possesso anche degli avvocati. I quali in genere non hanno nessun interesse a rendere pubbliche le situazioni processuali dei propri assistiti. Seconda questione. Per quale motivo i pubblici ministeri hanno depositato intercettazioni che riguardano l’indagato Acri ma non sono rilevanti per questa inchiesta, e addirittura altre che coinvolgono, riportando insulti e minacce nei suoi confronti, una persona del tutto estranea come il ministro Santanché? L’articolo 268 del codice penale, quello voluto dall’ex ministro Orlando e poi modificato dal suo successore Bonafede, lo stesso invocato dal deputato Cafiero de Raho mentre puntava il dito da procuratore verso il ministro Nordio, parla chiaro. “Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini”.

Partiamo dunque dall’indagato Acri. E’ sospettato di essersi fatto corrompere e di essersi dimesso da consigliere comunale di Brescia in cambio dell’assunzione del figlio. Tralasciamo per un attimo la fondatezza dell’accusa, siamo solo a un’ipotesi del pubblico ministero. Ma per quale motivo si pubblica un’intercettazione in cui un esponente di FdI lombardo dice in dialetto “Ma Acri l’è un mafius!”. E’ utile questa captazione alle indagini su una presunta corruzione? E’ forse la stessa persona indagata anche per reati di mafia? No, e infatti l’espressione dialettale può essere scherzosa, e in caso contrario sicuramente “lesiva della reputazione”. Perché dunque il pm non l’ha posta tra le carte riservate invece di depositarla tra quelle a disposizione delle parti e inevitabilmente sbattute sui giornali?

E’ chiaro che la legge Orlando-Bonafede, tanto strombazzata in questi giorni da tutti coloro che sono contrari a qualunque intervento sulle intercettazioni, non funziona. Ma se è grave la violazione che riguarda l’indagato Acri, ancora più grave è la parte relativa al coinvolgimento di Daniela Santanché, totalmente estranea all’inchiesta e addirittura vittima nel piccolo scontro politico bresciano. La ministra era coordinatrice regionale lombarda di Fratelli d’Italia, e in quella veste, saputo delle intenzioni dimissionarie di Giovanni Acri, gli aveva chiesto ragione e lo aveva messo in guardia dal cedere a facili promesse. Questioni di partito, denunciate, pare, da una lettera anonima. Quelle che per esempio Giovanni Falcone cestinava, ma non tutti i magistrati sono come lui. Dopo l’intervento di Santanchè cominciano i chiacchiericci. C’è Calovini che racconta alla sua segretaria, la quale, mostrando grande solidarietà femminile, commenta: “Na, che zoccola”.

E poi lo stesso deputato, anche lui dotato di grande sensibilità umana, che in una chat così si esprimere nei confronti della coordinatrice lombarda: “Santanchè sta facendo di tutto per non farmi entrare in consiglio. Quando morirà, perché morirà, cagherò sulla sua bara durante la cerimonia”. Due sole domande, alla fine. Dottor Romanelli, procuratore aggiunto del settore reati contro la Pubblica Amministrazione, vuole per favore spiegare ai cittadini quale è l’interesse pubblico e quale il rilievo per le indagini per cui lei non ha vigilato e ha consentito che fossero resi pubblici l’appellativo di “mafioso” di un indagato per corruzione e non per essere un aderente di Cosa Nostra o della ‘ndrangheta? E quale rilievo per le indagini sapere che una segretaria definisce una parlamentare e oggi anche ministra come “zoccola”, mentre un deputato le getta addosso simili volgarità? E’ sicuro di aver vigilato come le imponeva il codice penale?

E lei, deputato Federico Cafiero De Raho, è sicuro che tutto ciò dimostri che la legge Orlando- Bonafede, che lei ha usato per irridere il ministro Nordio, quasi rimproverandogli di non conoscere le norme esistenti, sia quel che ci vuole per tenere il cittadino al riparo da certi scempi? Lei ora non è più un accusatore ma un legislatore, forse sarebbe ora di abbassare quel ditino teso.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.

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