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Grande, in Occidente, l’esecrazione verso l’Iran, incrementata di recente dalla notizia dell’esecuzione di un manifestante relativamente giovane, prima, sembra, di altre. “Nessuno tocchi Caino”, organismo nato dal partito radicale contro la pena di morte, ha attratto le nostre simpatie in passato (per il tema, non per il partito).
Nonostante le riserve sul realismo dell’iniziativa, anzitutto perché era ovvio che non avrebbe avuto alcuna speranza di successo negli Stati Uniti, Paese che si è auto-investito del compito di stilare le cosiddette “regole” internazionali, la sua idealità era però lodevole.
La pena di morte in Iran e altrove
Se facciamo tale premessa è per il fatto che purtroppo la pena di morte è punizione alquanto diffusa. Ad esempio, da quanto l’Arabia Saudita non rientra nel novero dei preziosi alleati d’Occidente, sui media, di tanto in tanto, appaiono notizie sulle esecuzioni che avvengono a Riad (vedi il Riformista, che nel marzo scorso annotava 81 condanne in un giorno; accadeva anche prima, ma non veniva scritto).
Tale pena, nei Paesi in cui vige, viene applicata diffusamente non solo contro i colpevoli di reati comuni reputati gravi, ma troppo spesso anche contro esponenti delle opposizioni particolarmente attivi (è il caso di Riad). Questa premessa serve a spiegare perché non ci meraviglia molto, purtroppo, quanto sta avvenendo in Iran, dove, bisogna pure aggiungere, è in corso un regime-change violento, contro il quale il governo sta cercando di difendersi.
La difesa comporta, appunto le pene di cui sopra, comminate non a candidi attivisti, occorre pur dirlo, ma a persone che si erano macchiate di delitti gravissimi, cioè di omicidio (avevano ucciso esponenti delle forze di sicurezza).
I media d’Occidente scrivono di accuse non veritiere, altrimenti l’esecrazione di cui sopra non attecchirebbe eccessivamente (anche in tanti Stati Usa l’assassinio è punito con la pena di morte e le risposte alle critiche americane sarebbero fin troppo facili). Resta che nei disordini sono morti anche oltre 60 agenti della polizia e della sicurezza e che qualcuno deve pure averli uccisi.
E restano i tanti filmati pubblicati sui media iraniani e che circolano sul web che mostrano violenze terribili ad opera dei manifestanti, i quali non sono solo donne innocenti che rifiutano il velo.
Come resta il sostegno aperto e incondizionato dell’Occidente alle proteste, che si innesta nella lunga scia di azioni e dichiarazioni volte a porre fine al governo dell’Iran uscito dalla rivoluzione islamica di Khomeini, che pur nella sua oscurità, non è certo più oscuro delle precedente reggenza, quella dell’asserito scià Reza Pahlavi, imposto dall’Occidente dopo il colpo di Stato che pose fine al governo del riformatore Mossadeq (il golpe fu organizzato da Norman Schwarzkopf, papà del futuro Comandante in capo di Desert Storm, nome dato all’intervento in Iraq).
Lo scià fantoccio, infatti, per permettere all’Occidente di rubare il petrolio iraniano, impose un regime durissimo e la sua sicurezza, i famigerati Savak, inseguivano gli oppositori di ogni tipo, religiosi e marxisti, in tutto il mondo.
Ma al di là della storia, con il mondo affamato di energia e con l’Iran che ha ormai virato decisamente verso Cina e Russia, l’Occidente sta forzando la mano come non mai per ottenere il sospirato regime-change, alimentando il malcontento popolare, che esiste in tutte le nazioni (qui ha solo richieste diverse, come ad esempio il velo) e dando armi a tanti facinorosi, esattamente com’è avvenuto nella vicina Siria che ancora sta scontando la simpatie occidentali per le milizie terroriste, da noi chiamate ribelli moderati (che di moderato avevano nulla, come dimostrano anche i tanti attentati avvenuti in Europa che portano la loro firma).
L’attacco al Dipartimento universitario
Un sostegno più che interessato, quello occidentale. O forse davvero qualcuno pensa che l’America abbia messo a disposizione degli manifestanti la rete satellitare Starlink – che impedisce la chiusura di internet – perché vuole la loro libertà? Quei satelliti costano milioni di dollari al giorno…
Ma a evidenziare in maniera palese la mano straniera dietro le proteste, una notizia pubblicata dal sito Avia-pro, che riportiamo.
“In Iran, i manifestanti hanno bruciato il principale ufficio del paese per lo sviluppo di droni e missili”.
“Questa notte, i manifestanti iraniani hanno attaccato l’Università Tecnologica di Isfahan. L’obiettivo dei manifestanti era un ufficio speciale, situato in uno dei Dipartimenti dell’ateneo, che sta sviluppando tipi moderni di armi iraniane, come veicoli aerei senza pilota, missili, ecc”.
“A seguito all’attacco al dipartimento che lavora nell’ambito della Difesa, i radicali hanno dato fuoco a quest’ultimo. Nell’attacco, sono stati bruciati numerosi documenti relativi allo sviluppo dei droni iraniani e di altre armi; inoltre, sono stati uccisi anche diversi dipendenti dell’ufficio che in quel momento si trovavano all’interno dell’università”.
Per puro caso i droni iraniani sono da mesi al centro dell’attenzione occidentale, e del relativo allarme, perché venduti alla Russia e da questa usati nel conflitto ucraino.
Insomma, un obiettivo davvero insolito per dei cittadini che manifestano per la giustizia e la libertà e più consono a un’operazione da servizi segreti, che evidentemente hanno infiltrato in maniera capillare le proteste, così che le accuse di Teheran sul punto non sembrano del tutto infondate.
Inoltre, qualcuno deve pur aver ucciso i ricercatori e gli scienziati che lavoravano nel Dipartimento, alcuni dei quali si presume possano essere di giovane età.
Domanda conclusiva: se negli Stati Uniti scoppiasse una rivolta tanto generalizzata, con obiettivi tanto sensibili, con danni tanto ingenti, e le proteste fossero apertamente supportate, con intelligence e armi, da russi e cinesi, i manifestanti sarebbero accolti con odorosi mazzi di fiori?