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La crisi di Israele e il fascismo insito nel neoliberismo | Piccole Note

La crisi di Israele e il fascismo insito nel neoliberismo Tempo di lettura: 4 minuti

Israele si dibatte stretto tra il nuovo governo di ultradestra e la contestazione dei liberal, i quali allarmano sulla fine della democrazia israeliana, che dovrebbe avvenire con le nuove leggi, anzitutto quella riguardante la revisione della Corte Suprema, oggi al centro del dibattito politico.

Lo scontro che lacera Israele e aumenta la sofferenza dei palestinesi

Una controversia sulla quale si innesta quella delle rinnovate tensioni con i palestinesi, che hanno raggiunto un nuovo punto caldo: dopo il raid dell’esercito israeliano a Jenin, che ha lasciato sul campo dieci morti palestinesi e il conseguente attacco a una sinagoga israeliana, che ha provocato sette vittime.

Oltre questo, lo stillicidio di morti e feriti palestinesi, che ormai appartiene al quotidiano. Agar Shezaf stila un breve, ma significativo elenco, di crimini minori, in un articolo dal titolo: “Dall’attacco terroristico di venerdì [alla Sinagoga]: 35 possibili crimini di vendetta contro i palestinesi“.

Si tratta di 35 atti vandalici contro automobili e altre cose di proprietà dei palestinesi, che la Shezaf ascrive agli estremisti israeliani, sui quali la polizia sta indagando senza aver compiuto alcun arresto (nonostante il fatto che i palestinesi siano la popolazione più monitorata del pianeta).

Uno stillicidio quotidiano (ieri uccisi altri due palestinesi, come riporta l’Associated Press), una spirale di violenza che si alimenta a getto continuo e che andrà giocoforza ad incrementarsi man mano che l’occupazione dei territori della Palestina diventerà più stringente con le misure varate dal nuovo governo di Tel Aviv.

Da notare che l’America, che in teoria afferma di voler tutelare i diritti dei palestinesi – tale il ruolo che gli impone la sua autoproclamata difesa delle regole globali (che fa valere a seconda degli interessi) – si limita a osservare di lontano il rogo che sta bruciando a fuoco lento i palestinesi, limitandosi di tanto in tanto a sedare le fiamme quando esse rischiano di andare fuori controllo a scapito di Tel Aviv.

Questa doppiezza degli Stati Uniti è sintetizzata in maniera stupenda dal titolo di un articolo di Jack Khouri, pubblicato su Haaretz, a commento del recente incontro del Segretario di Stato Usa Tony Blinken con il presidente della Palestina Abu Abbas: “Abbas chiedeva un’iniziativa diplomatica. Blinken gli ha offerto un aggiornamento della rete dei cellulari”…

Lo stillicidio, l’orrore, la follia. Mentre, infatti, si consuma l’ennesima tragedia palestinese, che porta con sé la tragedia di Israele, dal momento che le vittime innocenti sono da una parte e dall’altra, il dibattito pubblico all’interno di Israele, che sta spaccando in due la politica e la società israeliana, verte sul destino della Corte Suprema, pure importante, ma insomma…

La relatività di tale dibattito è messa in evidenza da un articolo di Tahel Frosh, pubblicato anch’esso su Haaretz, nel quale si spiega come in realtà “lo smantellamento delle istituzioni governative [israeliane] alle quali stiamo assistendo è il risultato dei molti decenni in cui gli israeliani hanno spinto i palestinesi e l’occupazione nell’ombra”.

Infatti, come sostengono da tempo tanti opinionisti e politici, la democrazia israeliana non può sopravvivere al regime vessatorio esercitato sui territori palestinesi; o, come recita sinteticamente un titolo del New Yorker: “Le pratiche antidemocratiche di Israele contro i palestinesi stanno infettando il suo sistema politico”. Da decenni, appunto, come scrive la Frosh, non dal ritorno di Netanyahu al potere.

Da cives a plebe

Ma se citiamo la Frosh – e per il momento sospendiamo il resoconto degli interna corporis dello scontro israelo-palestinese (ci torneremo) – è soprattutto per un’altra sua considerazione a più ampio spettro, che getta luce su quanto sta avvenendo nella politica e nella società occidentale in tutte le latitudini.

Secondo la Frosh, il dibattito che ormai divide la politica e l’informazione israeliana (e di tutto l’Occidente si può aggiungere) è su questioni secondarie, mentre la questione primaria, cioè le distorsioni e la scandalosa diseguaglianza sociale causate dal neoliberismo imperante, sono offuscate proprio da tale inutile dibattito, che di fatto è un’arma di distrazione di massa.

A minare la democrazia israeliana, spiega la cronista di Haaretz, non è solo la politica riguardante la Palestina, ma anche il neoliberismo, diventato ormai dottrina imperante in tutto l’Occidente.

Sia la destra che la cosiddetta sinistra, sia i cosiddetti populisti che i cosiddetti liberali, sia i cosiddetti fascisti di ritorno che gli asseriti anti-fascisti attuali, sono proni al dogma del neoliberismo, assunto come assetto ormai irreversibile del sistema occidentale.

“La cosa più preoccupante del cavallo neoliberista cavalcato dai populisti antiliberali ora al potere – scrive la Frosh – è che si tratta dello stesso cavallo dei liberali di sinistra. Condividono la stessa sella, cioè condividono lo stesso sistema ideologico e lo stesso linguaggio”.

“La speranza del campo liberale, come hanno dichiarato in tante occasioni, è che il cavallo neoliberista disarcioni il prepotente fascista. […] Ma questa è una speranza vana. Il cavallo neoliberista sente di appartenere ai fascisti non meno di quanto appartenga ai liberali“.

Inoltre, il neoliberismo produce discriminazione e divisione sociale non meno di altri fascismi. Il neoliberismo ha più successo del fascismo nel nascondere i mali che provoca perché presenta l’ordine economico come una forza della natura, qualcosa che non può essere discusso perché così dove essere”.

“[…] Questa disuguaglianza è storica, modellata politicamente fin dagli anni ’70 dai governi israeliani sia di destra che di sinistra che hanno importato il neoliberismo anglosassone di Margaret Thatcher e Ronald Reagan”.

“La privatizzazione di tutto ciò che si muove a beneficio di poche famiglie facoltose e la trasformazione della casa e dell’istruzione [e altro] in risorse sempre meno accessibili alle persone comuni, ha seminato un campo che la politica populista ha raccolto con gioia”.

Considerazioni che, appunto, valgono un po’ dappertutto in Occidente, dove élite sempre più ricche dettano legge a scapito dei cittadini comuni, sempre più impoveriti e il cui status (e potere) di cittadini è sempre più eroso. Da cives a indistinta plebe, ripetendo così la parabola che ha accompagnato la decadenza dell’Impero romano.

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