Borsa e tassi di interesse non sembrano risentire più di tanto non solo della difficile situazione economica e finanziaria, ma soprattutto delle incertezze, degli errori.
di Alessandro Plateroti Pubblicato il
Nessun governo italiano, almeno negli ultimi dieci anni, ha beneficiato di tanta “pazienza” da parte dei mercati finanziari come il nuovo esecutivo di centro-destra.
Borsa e tassi di interesse non sembrano risentire più di tanto non solo della difficile situazione economica e finanziaria, ma soprattutto delle incertezze, degli errori.
“Sono stanca delle critiche alla manovra”, è stato lo sfogo del premier Giorgia Meloni, chiaramente in affanno nella difesa ad oltranza delle scelte più controverse contenute del bilancio 2023, il primo del nuovo governo: ma in realtà, anche lei è ben consapevole che l’impianto della manovra va rivisto con onestà intellettuale e rinunciando ogni approccio ideologico.
Il tempo della propaganda e degli slogan è finito con il giuramento sulla Costituzione: ora non sono più gli elettori a giudicare il programma di governo ma tutti gli italiani, la cui aspettativa legittima è quella di un cambio di passo rispetto al passato.
In questo senso, poco conta la disponibilità di Palazzo Chigi a rivedere le maglie larghe nei controlli sull’uso del contante e sul rifiuto delle carte di credito: viste le reazioni dell’Europa, sarebbe meglio cancellarle del tutto.
Nel paese dei furbetti, anche le buone intenzioni diventano la strada per l’inferno: evasione e riciclaggio di denaro sono problemi che non si risolvono con la presunzione di buona fede di chi rifiuta ogni controllo sulla circolazione del denaro.
Bce e Unione Europea non hanno alcun “debito” elettorale con tassisti e parrucchieri: se il governo non farà’ marcia indietro facendo ammenda, il rischio dell’Italia è di finire nuovamente nel calderone dei paesi a vocazione autarchica e populista, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Tenere la linea dura esalta i fanatici, ma non porta niente di buono non solo al resto del Paese, ma soprattutto alla credibilità internazionale del nuovo governo: per chiedere, bisogna anche dare. E l’Italia sta nuovamente per chiedere molto all’Europa: più tempo e denaro per l’attuazione del PNRR. Vale la pena litigare con l’Europa solo per accontentare chi rifiuta il bancomat? Se è così, la riforma del Piano di resilienza e rilancio del Paese sarà molto, molto difficile.
Non solo. L’Italia dovrà soprattutto spiegare che cosa è successo all’attuazione di un PNRR che sembrava addirittura in anticipo sui tempi fino a un mese: mentiva il Governo Draghi, o è il nuovo governo che non è in grado di attuarlo? Che cosa dirà Giorgia Meloni a chi chiederà conto della forbice tra promesse e realizzazioni? Che è solo colpa della crisi energetica e dei rincari delle materie prime? Ma per favore: il problema è comune a tutti in Europa, ma solo in Italia ferma i cantieri? Con le foglie di fico, non si risolvono i problemi: ormai da vent’anni, l’Italia non riesce a spendere neanche la metà dei fondi strutturali che riceve dall’Europa, altro che crisi del gas.
Nelle attuali condizioni del Paese, nessuno può pretendere miracoli da un governo che ha mosso ora i primi passi, ma è certamente legittimo e opportuno non restare indifferenti davanti ai passi falsi. La sfida del nuovo Governo, almeno per l’immediato, non è quella di cambiare il Paese: è cambiare atteggiamento nei confronti della realtà. Il realismo non è questione di bandiera o di colore politico: è la missione impossibile dell’unico governo possibile.