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Liste di attesa troppo lunghe per prestazioni diagnostiche e ambulatoriali dell

“Sono amareggiato per la situazione: è evidente che c’è un problema oggettivo. Prima della pandemia era già un tema, soprattutto per alcune discipline, ma in questi tre anni si sono accumulate delle prestazioni che per un lungo periodo sono state impossibili da erogare, per motivi di protezione della salute pubblica”.

A parlare è il direttore generale dell’ASL CN2, Massimo Veglio, intervenuto in audizione alla IV Commisione consiliare della Città di Alba dello scorso mercoledì 11 gennaio.

Il tema, sollecitato da un’ordine del giorno presentato dall’opposizione, è quello del funzionamento dei servizi sanitari per la popolazione, “anche alla luce delle molteplici segnalazioni da parte di cittadini albesi e non, che lamentano liste di attesa di svariati mesi per ottenere prestazioni diagnostiche e ambulatoriali di varia natura”, come si legge nel documento firmato da Davide Tibaldi (Impegno per Alba) insieme ai colleghi di minoranza, denunciando una situazione che “sembra non discostarsi di molto da quella che riguarda l’intero comparto della sanità a livello nazionale”.

La replica del direttore Veglio parte da dati concreti, citando il numero degli interventi chirurgici erogati, anche se per le prestazioni ambulatoriali vale sostanzialmente lo stesso principio. “Nel 2022 abbiamo fatto 400 interventi chirurgici in più rispetto al 2019, e va considerato che nei primi tre mesi del 2022 c’era ancora un blocco dovuto al Covid… quindi, sostanzialmente, in 9 mesi. I tempi di attesa però sono comunque aumentati, perché con la pandemia per due anni si sono accumulate persone che sono state messe in coda. Nonostante l’ampliamento dell’offerta, i tempi di attesa sono quindi diventati più lunghi.

Aggiunge Veglio: “Il secondo problema è che, soprattutto in alcuni settori, abbiamo meno medici specialisti di quanti servano: è quindi inevitabile che i tempi di attesa crescano. Anche se il Covid impatta molto meno rispetto al passato, la gestione ospedaliera negli ultimi due mesi ha sofferto molto per questo: alcuni settori dell’azienda lavorano solo per gestire i ricoveri in ospedale. Magari ho un numero sufficiente di internisti, che fanno anche una parte degli eco-doppler, delle visite reumatologiche, ematologiche, geriatriche, pneumologiche, … . Ma se questi sono tutti occupati a gestire il doppio dei letti che gestiscono normalmente, non possono fare anche attività ambulatoriale, per cui c’è un elemento contingente (che dunque non sarà così per un lungo periodo) che va considerato proprio come se ci fosse il Covid. Non ho possibilità di aumentare a fisarmonica il personale… Posso chiedere degli sforzi, ma non oltre un certo limite”.

“Sugli specialisti che erogano le prestazioni siamo oggettivamente in difficoltà, anche perché abbiamo incamerato un numero di pazienti in attesa oggettivamente elevato, e – a differenza di altre aree come Torino, Alessandria, Asti – abbiamo più problemi perché non abbiamo un privato accreditato che supporti l’attività del pubblico. La Casa di Cura Città di Bra, unica struttura privata accreditata, fa pochissima attività rispetto al bisogno complessivo. Quindi qui o ci siamo noi, o ci siamo noi”, continua il direttore generale.

“Cerchiamo costantemente nuovi specialisti, chiedendo a quelli che già abbiamo, appena possibile, di aumentare le prestazioni. Ci rendiamo conto che non è sufficiente, ma va anche detto che il problema esiste per le prestazioni non urgenti: quelle programmabili hanno tempi troppo lunghi, mentre quelle improrogabili sono garantite. C’è poi un ulteriore tema, che è quello dell’appropriatezza delle prestazioni richieste… . La metà delle ecografie alla tiroide che vengono eseguite, per fare un esempio, non sarebbero necessarie. Lavorando su queste, si potrebbero dimezzare i tempi di attesa, ma è un equilibrio delicato tra cittadino, prescrittore ed erogatore: servirebbe un cambiamento culturale generale, perché oggi – da parte di chi chiede – sembra essere tutto dovuto e tutto dovuto, subito. E il medico, con una sala d’attesa piena, all’ennesima insistenza del paziente magari cede, esasperato, accontentando con una prescrizione non necessaria”.

Il problema, a livello nazionale, è anche “politico”, nel senso che discende da una mancanza di visione e da scelte programmatiche rivedibili.

Ci sono pochi specialisti perché è stata fatta una programmazione sbagliata, non tanto e non solo per l’imposizione del numero chiuso negli studi di Medicina. Il problema è che ogni anno in Italia si laureano circa 10.000 persone, ma ne entrano in specialità solo 7.000. Sono state aumentate le specializzazioni, anche se non di 3.000 all’anno, ma – visto che ci vogliono 5 anni per completare il percorso di specializzazione – i risultati non si vedranno se non almeno fra due anni. E i benefici partiranno dalle grandi città, come Torino. Un giovane specialista che ha studiato per 6 anni qui, con altri 5 di specialità, sceglierà Torino prima di Verduno (salvo eccezioni sporadiche), dove nell’ultimo decennio si è creato le sue relazioni professionali e umane”.

Continua poi Veglio: “Mettere più posti di specializzazione significa avere un sistema che spende per le borse, ma anche più aule, più docenti, più posti dove fare il tirocinio… C’è tutto un sistema che deve cambiare e riformarsi. Poi, ci sono alcune specialità che sono meno appetibili… Chi te lo fa fare di scegliere Medicina d’urgenza, andando a prendere schiaffi in pronto soccorso da gente che arriva urlando, armata di pistola? Ma anche la maggior parte dei medici di Medicina generale fa un lavoro terribile, non sopportabile: tutto burocrazia, front office con gente che pretende qualsiasi cosa e non capisce… I bisogni sono proprio cambiati. Anche le Guardie Mediche: in una domenica standard, dalle 8 alle 20, all’inizio della mia carriera in Val di Susa, andavo con la mia auto e se mi chiamavano 30-40 persone facevo 20 visite, mentre per le altre persone bastava magari un consiglio. Oggi una Guardia Medica riceve mille telefonate, non 50, e lo stesso vale per i medici di Medicina Generale: oggi hai la coda immensa di persone che arriva per la qualunque e distinguere tra chi ha bisogno e chi no, non è così immediato. Si tratta di un mestiere che non vuole fare più nessuno… C’è chi si dimette perché è diventato insostenibile”.

Quindi il consigliere Fabio Tripaldi, trovando l’approvazione del direttore Veglio, che parla di “problema di comunità”, con il capogruppo di Alba Città per Vivere che afferma: “Oltre che nella formazione dei medici, servirebbe una campagna adeguata di informazione al cittadino, per non creare sfiducia nei confronti della sanità pubblica, che ha come conseguenza un dirottamento sulla sanità privata, con un progressivo impoverimento di quella pubblica, se non si continua a investirvi”.

Chiude Alberto Gatto (Partito Democratico), che sollecita Veglio su disservizi legati alle prenotazioni al CUP, con l’impossibilità di avere date certe: “Perché non ci sono date disponibili, ma viene richiesto di richiamare nel giro di 10 giorni per avere delle disponibilità?”.

Il direttore generale replica: “Dal punto di vista formale ammetto una colpevolezza perché è obbligatorio avere una programmazione e le agende dovrebbero essere sempre aperte. Questa è la norma… . Ma se chi riceve la chiamata è solo a lavorare, o si è in due, e si deve garantire al contempo l’assistenza ai pazienti in ospedale, le consulenze agli altri reparti, le consulenze in Pronto soccorso, non sarà possibile allocare un tempo standard in ambulatorio: lo farò residualmente, quando posso, perché non è fattibile programmare un’attività. Tutto è riconducibile alla mancanza di personale. Viene garantita l’urgenza, ma così facendo si rischiano anche problemi, tra qualche anno, perché così facendo viene meno la prevenzione primaria e secondaria. Lo screening è efficace se viene effettuato: sospendendo l’attività di prevenzione, se viene meno una programmazione seria con risorse adeguate, avremo notevoli problemi di salute pubblica nel medio periodo. Questo è preoccupante in termini di salute pubblica. In Italia si spende pochissimo per la salute, il 6% in termini di frazione di PIL investita per la sanità: siamo davanti solo alla Grecia, in Italia… in Germania è il doppio, la media europea è del 9%. Non serve fare 1.000 ecografie in più, perché magari 500 sono inutili… Ma la politica vive spesso di annunci, quando una programmazione adeguata risolverebbe molti più problemi. Gli stessi soldi spesi per formare un radiologo in più consentirebbero di offrire un servizio migliore”.

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