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Meloni se le canta e se la suona sulle accise e usa i migranti per spostare l'attenzione – Il Riformista

La premier si (auto) mette nell’angolo

Claudia Fusani — 12 Gennaio 2023

Meloni se le canta e se la suona sulle accise e usa i migranti per spostare l’attenzione

Sarà meglio incrociare le dita e sperare che i prezzi si abbassino da soli. Questa storia dei carburanti e del ritorno delle accise rischia di attorcigliarsi sempre di più. Intorno al collo del governo. E ogni volta che il governo ci mette bocca la situazione non migliora. Se martedì sera la giornata si era chiusa con un Consiglio dei ministri tra tensioni e imbarazzi, la lettura dei giornali ieri mattina ha peggiorato la situazione: governo costretto ad una stretta sui controlli dei prezzi alla pompa per dare un segnale politico a cittadini e autotrasportatori imbufaliti per il caro pezzi. Non era questo il messaggio che Giorgia Meloni voleva dare.

Così ieri a metà mattina, dopo lungo confronto con lo staff, tesa e seccata ha messo in rete una puntata speciale del format “I Diari di Giorgia”. Dedicata ai prezzi del carburante. Non una conferenza stampa, attenzione, dove grazie al contraddittorio i punti possono essere chiariti. Un videomessaggio dove la premier parla e gli altri prendono appunti: la stampa responsabile di una “campagna mediatica ben costruita”; i cittadini alla prese dal primo gennaio con un aumento di 9 euro ad ogni litro di benzina e gasolio; gli stessi alleati di governo che – Lega e Forza Italia – da giorni gridano alla speculazione e chiedono di congelare nuovamente le accise. Agli errori, pasticci (l’osservatorio prezzi del Ministero spiega che l’unico aumento è dovuto al ritorno delle accise, nessuna speculazione tranne qualche caso isolato) dello stesso governo, malintesi e propaganda (delle opposizioni che fanno le opposizioni), si aggiungono così le contraddizioni della premier. Fanno male i video diventati virali sui social in cui Meloni, all’epoca leader incontrastata dell’opposizione, diceva: “Una volta al governo aboliremo le accise”.

La precisazione arrivata ieri sa di parata goffa. “Non ho mai fatto questa promessa in questa campagna elettorale. Se potessi certo che eliminerei le accise. Ma servono 40 miliardi che non abbiamo”. Il problema non è tanto abolire queste tasse assurde che da una tantum sono diventate strutturali. Il problema è il governo Meloni ho scongelato accise che il governo Draghi ha bloccato a marzo 2022 (prima al 36%, poi al 18%). Le associazioni dei consumatori fanno due conti: se uno fa due pieni al mese, spende circa 220 euro in più all’anno. “Certo – ha spiegato la premier – avremmo potuto anche noi confermare gli sconti di Draghi. Ma ci sarebbe costato un miliardo al mese, dieci miliardi in un anno e noi quei soldi abbiamo deciso di destinarli a famiglie povere, mamme in difficoltà, redditi bassi. Rivendico questa scelta di giustizia sociale”. E cioè l’aumento del fondo sulla sanità, l’ampliamento della platea di famiglie destinatarie di aiuti per calmierare le bollette domestiche, i crediti delle pmi.

Peccato che non sia previsto il contraddittorio perché anche qui sarebbe facile trovare l’errore. O la “differenza” come si usa dire. Alla Sanità sono andati solo due miliardi e più della metà se ne va in pagamenti delle bollette. Quel che resta è troppo poco. Per le famiglie con redditi bassi bastava proseguire con il finanziamento del Family act evitando nuove norme. Si poteva ad esempio recuperare un miliardo da Quota 103. E altri 2/3 miliardi mettendo nelle entrate quelle tasse che invece sono state rateizzate o cancellate con gli undici condoni. Continua Meloni. Ma non migliora la sua situazione. “Tagliare le accise (come ha fatto Draghi, ndr) – spiega – è una misura che aiuta tutti indipendentemente dalla condizione economica che hanno”. E poi, aggiunge, “le quotazioni delle materie prime stanno scendendo e noi abbiamo sperato che il ritorno delle accise sarebbe stato compensato da una diminuzione del carburante”. Cioè, l’ammissione di aver sbagliato. Non contenta, ripete la promessa: “Sono fortemente speranzosa – dice – della possibilità che prima o poi riusciremo a fare un taglio strutturale, non temporaneo delle accise, ma questo necessità di una situazione diversa, di rimettere in moto la crescita economica di questa nazione”.

Gli autogol continuano. E qui la politica è in agguato. I dati in possesso del governo dicono che non c’è stata speculazione. La premier elenca la serie storica dei prezzi a dimostrazione che gli aumenti e i prezzi sono in linea con il ritorno delle accise. Dunque tacciano coloro che da giorni, anche nella maggioranza, lanciano allarmi. Certo, ci sono delle sacche di furbetti, le chiama “storture”, anche se “la maggior parte dei gestori sono persone per bene”. Ma si tratta, appunto, di porzioni di territorio facilmente individuabili. E su cui è pronto ad intervenire il “decreto trasparenza” vergato l’altra sera in gran carriera. Allarme rientrato, dunque? No. Confapi trasporto ha risposto al video della premier con un comunicato di fuoco: i prezzi corrono, il decreto Trasparenza non basta, è necessario mettere mani ai prezzi altrimenti “saremo costretti ad aumentare anche noi i prezzi”.

Osvaldo Napoli di Azione mette il dito sulla piaga: “Meloni non ha capito che se l’inflazione galoppa, la prima regola è non toccare i prezzi, specie quelli di un bene primario come i carburanti perché i primi a pagare sono i più poveri”. Il pasticcio carburanti continua. Servirebbe spengere la luce e cambiare argomento. Ieri pomeriggio la premier ha riunito a palazzo Chigi il ministro dell’Interno, il ministro degli Esteri, dei Trasporti e il prefetto Belloni che guida la nostra intelligence. Focus sull’immigrazione. Anche da qui però arrivano notizie confuse: nonostante decreti e strette, gli sbarchi sono in aumento e gli immigrati anche. Nel vertice si è deciso di stringere accordi con i Paesi d’origine per evitare le partenze. Il ministro Tajani partirà presto per una serie di missioni in Turchia, Tunisia e Libia.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent’anni a Repubblica, nove a L’Unità.

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