Le dichiarazioni di Nordio hanno risbattuto in prima pagina la giustizia. La cosa che impressiona non è tanto la rapidità con la quale il tema ha scalato la classifica mediatica ma l’immobilità assoluta dei contenuti ed il riflesso pavloviano che condiziona le forze politiche quando se ne parla. Una reazione che immiserisce la questione e la riduce a politica politicante. Come nel Deserto dei Tartari il protagonista invisibile è sempre lo stesso: la riforma del Titolo Quarto della Costituzione. Qualcuno la evoca, qualcuno la teme, ma nessuno la mette sul piatto.
Eppure di ricette pronte, dosate persino nei particolari, da qualche lustro ne esistono più di una. Agli atti parlamentari sono depositate, tra le altre, le proposte della commissione Boato, e quelle del ministro Alfano del 2011, che hanno entrambe il pregio di essere state terreno di confronto trasversale tra le forze politiche nelle commissioni bicamerali che ci hanno lavorato. Senza dimenticare che in Parlamento giace anche la legge di iniziativa popolare dell’Unione delle Camere Penali, che nei contenuti è sovrapponibile a quella di Alfano il quale, a suo tempo, proprio un progetto dei penalisti italiani aveva fatto proprio.
Ed allora, l’iniziativa dell’attuale ministro – che sul piano dei contenuti, o meglio dei terreni programmatici, appare largamente condivisibile – ha un solo difetto, quello di aver rinviato ad un indefinito secondo tempo della legislatura la risoluzione dei problemi strutturali che ha evocato parlando di intercettazioni, obbligatorietà dell’azione penale, separazione delle carriere, ventilazione della magistratura, Alta Corte di giustizia disciplinare. Sui tempi Nordio è stato vago, ha concesso alla retorica imperante la necessità di mettere a regime la riforma Cartabia – che invece meriterebbe di essere revisionata in maniera molto più radicale – se non altro per passare alla cassa europea, ma non ha indicato il crono programma della riforma di struttura.
Ciò posto, se le parole dell’ex pm sono da intendersi come un reale impegno politico, e non il tentativo di recuperare terreno dopo l’infortunio della inguardabile legge sui rave e le preclusioni ai benefici dell’ordinamento penitenziario, l’unico modo politicamente serio per dimostrarlo è quello di far partire la macchina della riforma varando, subito, una commissione bicamerale. Altrimenti c’è il rischio che la doppia anima del centrodestra, quella che strepita sul garantismo e poi fa legge forcaiole, ovvero indossa le vesti dei grandi riformatori, da Hammurabi a Napoleone, e poi le getta alle ortiche per risolvere le grane giudiziarie del capo di turno, da Previti alle olgettine fino alle case a Montecarlo, alla fine prevalga. Non sarebbe la prima volta, come dimostra proprio la mala sorte della proposta Alfano.
Una doppia anima che, a complicare le cose, sul versante forcaiolo oggi vede l’ingresso di una componente ulteriore ben rappresentata dal non meno inguardabile slogan varato dal sottosegretario Del Mastro e subito fatto proprio dalla Meloni: quello che vuole i governativi “garantisti nel processo e giustizialisti sulla pena”. Un ossimoro degno del lettino di uno psicanalista in qualsiasi altro paese, dove personaggi come il citato sottosegretario – che a suo tempo andò sotto il carcere di Santa Maria Capua Vetere a portare solidarietà agli agenti della polizia penitenziaria dopo la mattanza del 2020 e che idolatra il 41 bis, cioè fa quello che fa anche Salvini – difficilmente si ritroverebbero dalle parti di un liberale vero come Carlo Nordio.
Però da noi così va il mondo e bisogna far di necessità virtù. Proprio come fa, o tenta di fare, il ministro nella parte più ambigua delle sue dichiarazioni, quando concede ai “giustizialisti” del suo governo che nel nostro sistema la pena avrebbe nella “retribuzione” il suo tratto più marcato. Affermazione su cui si potrebbe discutere a lungo, visto che l’unica funzione che sottolinea l’articolo 27 della Costituzione è che le pene “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione.” Punto. Del resto è lo stesso Nordio ad aggiungere, sempre in tema di sanzioni, che sarebbe opportuno superare il panpenalismo, in favore di ampia depenalizzazione che privilegi sanzioni amministrative ben più effettive. Tra l’altro, anche se la questione non è stata colta dalle cronache, il ministro ha ripreso anche una vecchia proposta di Ettore Randazzo sulla necessità di creare un circuito carcerario realmente diversificato per coloro i quali sono in custodia cautelare.
A fronte di tutto questo la reazione di larga parte dell’informazione “progressista”, e del PD nel campo politico, hanno l’unico merito di farci fare un salto all’indietro nel tempo riportandoci al periodo della gioventù. I commenti “a sinistra” seguiti alle parole di Nordio sono sconfortanti. Come se non fossero passati lustri dai tempi dei girotondi, come se anche la parte “progressista” del paese non avesse potuto constatare – grazie alle imprese dell’impresentabile Bonafede – quanti guai alla causa porti la decisione di delegare al Travaglio di turno, e all’ANM in ogni epoca, l’agenda sulla politica giudiziaria. E’ tutto un fiorire di allarmi democratici, vecchi cliché antiberlusconiani, slogan ancor più triviali di quelli dei forcaioli governativi, e tribune concesse ai super procuratori appena eletti in parlamento. Non c’è nulla da fare, pur di assicurarsi qualche click, ovvero tentare di raccattare qualche voto in libera uscita dal partito del Robespierre con la pochette, la sinistra nel nostro paese rinuncia a ragionare sulla giustizia ormai da decenni. Però stavolta dovrebbe, se non altro perché Renzi e Calenda rendono la strada della riforma costituzionale percorribile a prescindere.
Eppure anche a sinistra, sia pur in senso molto lato, qualcosa si muove. Partendo dalla vicenda dell’anarchico Cospito è comparsa sul web una strip di Zerocalcare pubblicata su Internazionale che riflette sull’aberrazione del 41 bis, il totem dell’antimafia. A modo suo, e col suo linguaggio, il fumettista interroga il suo pubblico, che certo non comprende amici dei mafiosi, sul fatto che è inutile girarci attorno: quella misura è una tortura per tutti, anarchici e malacarne, senza distinzioni pelose che dovrebbero salvare l’anima alla parte buona del paese. Augurandoci che il disegnatore romano non venga subito sottoposto ad intercettazione preventiva, se non altro perché vive a Rebibbia, quartiere ad alta densità deviante, c’è da sperare che a sinistra qualcuno tragga ispirazione per sottrarre il cervello dall’ammasso dei luoghi comuni che subito si è formato da quelle parti appena Nordio ha avanzato le sue proposte.
Certo in tema di giustizia gli ci vorrebbe una coscienza critica, un Armadillo dietro le spalle, sempre per citare Zerocalacare, a suggerirgli un pensiero libero dalla necessità di grattare consensi ai Cinque Stelle, e dalle parti del PD proprio non si vede. Anzi, quando si affrontano questi temi quel partito riparte sempre dal via, dimenticando gli stessi passi in avanti fatti nel frattempo. L’esempio dell’Alta Corte di Giustizia è illuminante. Durante lo tsunami Palamara la questione sembrava aver mietuto consensi anche in campo democratico, ora che ne parla Nordio ridiventa una proposta demoniaca. Quanto all’ANM niente di nuovo sotto il sole. Le reazioni sono quelle di sempre, compreso il riflesso proprietario sulla giustizia italiana che le condiziona. Speriamo che in questo frangente la realtà gli dia torto: fino ad oggi hanno avuto ragione a pensarla così.
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