Gregorio De Felice (capo economista di Intesa Sanpaolo): “Chi sta pagando il prezzo delle sanzioni Ue inevitabili alla Russia? I cittadini e le imprese europee. Gli Stati Uniti negli ultimi 10 anni hanno raggiunto un’autonomia dal punto di vista energetico, noi no. Se l’Ue si limita al RepowerEu chiaramente non sta scegliendo”
Le sanzioni alla Russia stanno ricadendo sulle aziende e sui consumatori europei. A dirlo senza mezzi termini non è un agitatore filoputinista ma Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo.
DE FELICE (INTESA SAN PAOLO): “I CITTADINI E LE IMPRESE EUROPEE PAGANO IL PREZZO DELLE SANZIONI ALLA RUSSIA”
“Abbiamo un problema politico che è la guerra. A questo problema abbiamo reagito con le sanzioni, anche perché non si poteva fare altrimenti – ha detto il capo economista di Intesa Sanpaolo a margine dell’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2022, realizzata con il Centro Einaudi -. Ma chi sta pagando il prezzo delle sanzioni? I cittadini e le imprese europee. Ecco questo politicamente, a livello centrale, va sicuramente compensato”. L’Europa non è stata in grado di rispondere come un attore unico alla sfida energetica derivata dalle sanzioni alla Russia. “In Europa non siamo stati capaci di rispondere alla crisi energetica con una politica comune – ha aggiunto De Felice -. Gli Stati Uniti negli ultimi 10 anni hanno raggiunto un’autonomia dal punto di vista energetico, noi no. Se l’Ue si limita al RepowerEu chiaramente non sta scegliendo l’importante reazione avuta dopo la pandemia, con Next Generation Eu e poi con i Piani Nazionali”.
IL COSTO DELLE SANZIONI ALLA RUSSIA PER CHI LE EMETTE
Una linea che De Felice sostiene da tempo. Anche a giugno aveva sottolineato quanto le sanzioni alla Russia ricadessero sul portafogli dei cittadini e sui ricavi delle aziende europee. “È inevitabile, se non vogliamo mandare soldati italiani in Ucraina a difendere quel Paese dobbiamo agire sul fronte politico e su quello economico – aveva detto De Felice a margine della presentazione del rapporto economia e finanza dei distretti industriali 2021 “Distretti industriali tra post-pandemia e conflitto” di Intesa Sanpaolo -. Le sanzioni, però, hanno un costo, non solo per chi le riceve ma anche per chi le emette, e occorre compensare i danni che da questo ricevono le classi di reddito più basse”.
SENZA GAS E PETROLIO RUSSO UNA RECESSIONE CERTA E CON PERDITA DI POSTI DI LAVORO
Se le ricadute delle sanzioni alla Russia si fanno sentire in tutte Europa, c’è chi ne soffre di più. L’Italia, per esempio, non è in grado di soddisfare in maniera autonoma il proprio fabbisogno energetico. “Interrompere il rubinetto del gas significherebbe andare verso una recessione certa con una perdita di posti di lavoro significativa – aveva detto lo scorso maggio Carlo Messina in qualità di ad di Intesa Sanpaolo in un’intervista alla Stampa -. Nel quadro di sanzioni attuale, rimboccandoci le maniche ce la faremo. Uno scenario di totale rinuncia al gas russo ci vedrebbe in sofferenza per qualche anno. Se riteniamo che questo sia il nostro contributo per fermare il conflitto, il Paese intero dovrà adeguarsi a quanto il governo indica, anche se credo sia una valutazione da fare con grandissima attenzione.
A RISCHIO UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO CON LE SANZIONI ALLA RUSSIA
E proprio per ovviare alla mancanza di gas russo il governo Draghi prima, e quello Meloni poi, ha trovato (e sta ancora cercando) fonti di approvvigionamento alternative. Perché, come sottolineato da Messina, l’alternativa non è tra la pace e i condizionatori, come affermato ironicamente da Draghi ma “fra pace e cosa mangiamo”. Le ricadute sono, e saranno, molto più serie. “Tra pace e condizionatore io scelgo senza dubbio la pace, ma se dovessimo scegliere tra pace e cosa mangiamo, questo significherebbe uno scenario di guerra – continua Messina -. Dovremmo affrontare picchi di disoccupazione con 500 mila o 1 milione di persone che perdono il lavoro, si aggiungerebbero ai cinque milioni di poveri e ad altri cinque milioni di lavoratori in gravi difficoltà”.
LE SANZIONI ALLA RUSSIA SUL PETROLIO NON STANNO PRODUCENDO GLI EFFETTI SPERATI
Le sanzioni sui prodotti energetici rischiano di ferire severamente l’Europa e di provocare solo danni marginali alla Russia. Il sesto pacchetto di sanzioni ha decretato l’embargo alle esportazioni petrolifere dalla Russia verso l’Europa, fissato al cinque dicembre per il petrolio e al cinque febbraio per i prodotti petroliferi. Uniche eccezioni “temporanee” Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria perché paesi privi di alternative. Il Governo Draghi, come ricorda oggi l’economista esperto di energia Alberto Clò sul Foglio, non ha chiesto la stessa eccezione per il nostro paese “per le importazioni di petrolio via mare che alimentano il grande polo raffinativo di Priolo, di proprietà indiretta di Lukoil, in assenza delle quali il polo è destinato a chiudere”. All’embargo le sanzioni hanno affiancato la proibizione di fornire servizi di assicurazione tecnica, finanziaria, assicurativa alle navi che trasportano il petrolio russo “accrescendone quindi i costi con qualità peggiore”. L’obiettivo del Consiglio europeo è ridurre gli introiti russi, “circa 180 miliardi di dollari nel 2021”. Inoltre “l’embargo sulle quantità è avvenuto simultaneamente all’imposizione di un tetto massimo al prezzo del petrolio russo pari a 60 dollari al barile”, ha scritto l’ex ministro dell’Industria.
EFFETTI MOLTO LIMITATI SULLA RUSSIA
Gli effetti? Molto limitati per la Russia che ha trovato altri acquirenti in Asia (prima fra tutte la Cina) e più gravi per l’Europa soprattutto se “l’Opec confermerà il taglio della sua produzione complessiva, e ancor più da febbraio ai prodotti petroliferi”. In sostanza la sensibile riduzione degli acquisti europei di petrolio russo “non dovrebbero comportare pesanti contraccolpi per le finanze russe”. Non è facile prevedere l’impatto per l’Europa “per le sue difficoltà ad azzerare la dipendenza dal petrolio russo e le maggiori tensioni che potrebbero derivarne sul mercato internazionale del petrolio”. Il rischio è che le sanzioni si traducano in un boomerang per l’intera Europa.
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