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Che cosa manca nel decreto Cutro

Il decreto-legge Cutro non affronta le problematiche di coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare. L’analisi di Francesco D’Arrigo, direttore dell’Istituto Italiano Studi Strategici “Niccolò Machiavelli”

Agli atti dell’inchiesta della magistratura sul naufragio nelle acque al largo di Crotone avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, oltre alla segnalazione dell’Eagle 1 di Frontex, c’è anche il rapporto del Comando Generale delle Capitanerie di Porto – Centrale Operativa Italian Maritime Rescue Coordination Centre – che spiega in maniera cronologica lo sviluppo dell’evento, e come venne presa la decisione di non far scattare i soccorsi.

Secondo la ricostruzione di quella terribile notte, protocollato come “Evento Immigrazione n. 533 del 25 febbraio 2023”, la sala operativa della Guardia costiera di Roma avrebbe deciso di non intervenire perché non fu segnalata alcuna criticità nella capacità di navigazione dell’imbarcazione avvistata da parte dell’aereo dell’Agenzia europea Frontex. In base a tali informazioni, la sala operativa avrebbe inviato una comunicazione ai colleghi del Centro Secondario di Soccorso Marittimo (M.R.S.C. – Maritime Rescue Sub Center) di Reggio Calabria, che assicura il coordinamento delle operazioni marittime di ricerca e salvataggio nella propria giurisdizione, asserendo che «non si evidenziano elementi riconducibili al fenomeno migratorio». Un’analisi che esclude automaticamente quella prassi di obbligo di soccorso, da sempre seguita dalla Guardia costiera, secondo cui qualsiasi imbarcazione che trasporta migranti è da subito da considerarsi in distress in quanto non adatta alla traversata e non dotata delle necessarie dotazioni di sicurezza.

Come ho già descritto in un altro approfondimento, una serie di Convenzioni internazionali, Leggi e Decreti individua nel Comando Generale del Corpo delle Capitanerie, l’organismo italiano che deve assicurare l’organizzazione ed il coordinamento nazionale dei servizi di salvataggio in mare (S.A.R. – Search & Rescue) ed i contatti con gli altri Stati relativi a tali ed altri compiti di sorveglianza marittima.

Il Comando Generale delle Capitanerie esercita tali funzioni attraverso la sua Centrale Operativa, mediante l’aggregazione integrata delle informazioni acquisite dalle diverse ed eterogenee amministrazioni statali che esercitano competenze in materia marittima. Ad essa fanno capo tutti i compiti di istituto operativi attinenti al coordinamento a livello nazionale ed internazionale di operazioni aeronavali nei settori della Ricerca e Soccorso (S.A.R. Search and Rescue), della polizia marittima, della prevenzione e lotta agli inquinamenti marini e, più in generale, della vigilanza su tutte le attività che si svolgono in mare.

Il catching-up tecnologico può migliorare il processo decisionale solo se la struttura organizzativa sottostante è la più efficiente possibile

Per tutelare l’integrità della vita, dei beni, delle risorse e dell’ambiente dai rischi e danni causati da eventi calamitosi o naturali in mare, il Corpo militare delle Capitanerie si affida alla tecnologia, che rende disponibili molteplici informazioni per intercettare, descrivere e classificare eventi che possono avere degli impatti significativi sulle operazioni, oltre che sull’organizzazione, l’efficienza e la prontezza operativa della Forza armata stessa.

Ma anche la tecnologia più innovativa e dirompente può essere inefficace in un processo organizzativo che non funziona e le informazioni da sole non sono sufficienti per mitigare i rischi di incidenti. Pertanto, la normativa di riferimento per correlare i dati provenienti dalle diverse fonti ed interpretare la realtà per fornire la risposta più appropriata, rappresenta un riferimento strategico altrettanto importante dell’intervento stesso.

Aziende e organizzazioni complesse vedono nella tecnologia un grande alleato nella gestione e risoluzione delle crisi, uno strumento determinante per conoscere e interpretare correttamente ciò che sta accadendo, per supportare i processi decisionali, agire tempestivamente ed efficacemente per risolvere e prevenire e ridurre al minimo i rischi connessi con le attività. Tuttavia le cause degli incidenti non cambiano nel tempo, sono i protagonisti che cambiano e per evitare gli errori umani bisogna progettare Sistemi non ambigui.

Potenziare le capacità di sorveglianza marittima della Guardia Costiera

La necessità di poter far riferimento a norme chiare e comprensibili che racchiudano i valori che animano la missione più alta assegnata alla Guardia Costiera, e cioè quello della salvaguardia della vita, della sicurezza marittima e della Ricerca e Soccorso in mare, rappresenta un fattore indispensabile per ridurre il rischio associato al fattore umano, e per aumentare la capacità di gestione degli eventi critici.

Il compito della Guardia Costiera non è solo quello di reagire una volta avvenuta la catastrofe, ma è soprattutto quello di prevenire l’evento attraverso azioni mirate, protocolli solidi e condivisi che tengano conto dei cambiamenti geopolitici, formazione del personale e strumenti ad hoc sempre aggiornati e pronti a rispondere alle richieste di soccorso dei cittadini e di quanti navigano nel Mare Nostrum, di sorveglianza marittima in funzione Difesa.

A quanto pare, una parte del Governo voleva inserire nel “Decreto-Legge Cutro” un articolo per modificare l’assetto normativo che regolamenta la sorveglianza marittima, affidandone – legittimamente – tutte le competenze alla Marina militare, che a tale scopo si sarebbe avvalsa di un Dispositivo integrato interministeriale di sorveglianza marittima presso il Comando in capo della Squadra navale.

Una proposta del Ministro della Difesa che ha visto la strenua opposizione del Viminale e del Ministro dei Trasporti, che l’hanno interpretata come un commissariamento di fatto della Marina Militare nei confronti della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, invece che come un potenziamento della capacità di sorveglianza, vigilanza e sicurezza marittima in ambito Difesa dello Stato.

Risultato: proposta ritirata!

Certamente si trattava di una ulteriore modifica che si sarebbe insinuata come l’ennesimo intervento non organico in una materia molto delicata che riguarda la sicurezza nazionale, come del resto non sono interventi strutturali molti altri articoli del “Decreto-Legge recante disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”, approvati nel corso del Consiglio dei ministri in trasferta calabra.

Un CdM che ha annunciato una caccia “globale” agli scafisti ed ai trafficanti di esseri umani mentre non ha affrontato le problematiche relative al funzionamento della catena di comando delle operazioni di Ricerca e Soccorso in mare, rinviandole ad una successiva riforma, sempre più urgente ed indispensabile per evitare il ripetersi di eventi che provocano la morte di decine di persone e bambini nei nostri litorali. Come bisogna altresì evitare che la ricerca di un colpevole di quel naufragio tra gli operatori della Guardia Costiera, su cui scaricare le responsabilità del mancato intervento dei soccorsi, polarizzi il dibattito politico e l’opinione pubblica, attribuendo a chi dedica la propria vita al salvataggio di quella altrui responsabilità che invece sono ascrivibili ad un Sistema normativo ed organizzativo delle attività SAR quantomeno problematico, per usare un eufemismo.

Le responsabilità operative (e quelle da reato) nelle organizzazioni complesse sono sempre molto difficili da attribuire, tra colpa di organizzazione e colpa di reazione, e sono il frutto della sempre maggiore frammentazione delle competenze e dei processi decisionali in cui la singola persona fisica non ha più il totale controllo sul fatto, appunto perché il singolo è solo uno dei molteplici anelli della catena decisionale di cui fa parte. In pratica, l’operatore si trova ad espletare le proprie funzioni in un contesto “frammentato” che vede la compartecipazione di più soggetti, anche esteri, verso un’unica decisione, in modo che il singolo individuo perda potere decisionale ma non responsabilità penale in caso di errore o incidente, a tutto vantaggio dei soggetti che governano una “dimensione organizzativa plurale e decentrata” che adotta modelli organizzativi non idonei ad evitare che i singoli commettano atti rimproverabili nelle forme del dolo, della negligenza o della colpa.

Esempio classico è l’attribuzione da parte dei media e spesso della magistratura, all’”errore del pilota” nei casi di incidente aereo, mettendo in risalto la teoria funzionale del diritto penale, che assume quali responsabili all’interno delle organizzazioni complesse chi attualmente ed effettivamente svolge le funzioni il cui esercizio è indicato dalla norma; in pratica si valorizzano le mansioni svolte in concreto, spesso tralasciando forme di responsabilità proprie dell’organizzazione in quanto tale, del contesto operativo non omogeneo, del processo decisionale in cui più persone con culture e dipendenti da organizzazioni che hanno obiettivi diversi (Law Enforcement in opposizione a Search and Rescue nel nostro caso) interagiscono e dipendono ognuno dall’altro per il conseguimento di uno scopo non sempre comune.

Lascia qualche speranza la consapevolezza del ministero della Difesa dell’esigenza di approvare una riforma che liberi al più presto la Guardia costiera dalla ragnatela burocratica di dipendenze, vincoli, conflitti di competenze e di interessi, e soprattutto dalle interferenze politiche che ne inficiano negativamente le capacità operative. Una riforma di Sistema che al contempo rafforzi le capacità di sorveglianza marittima ed i preminenti compiti di Ricerca e Salvataggio del Corpo delle Capitanerie di Porto.

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